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Compleanno amaro per il piano europeo avviato nel 2014. Per il quale l’Italia ha ricevuto 1,5 miliardi da Bruxelles. A dirlo è il nuovo report del centro studi sul lavoro fondato da Marco Biagi. “Infranti i sogni di quei ragazzi che hanno creduto al governo”, dice il direttore scientifico Michele Tiraboschi. Fra improbabili annunci pubblicati sul portale del ministero guidato da Giuliano Poletti, pagamenti in ritardo e la scarsa trasparenza delle Regioni. A fronte di 897mila iscritti ci sono solo 300mila proposte di tirocini e stage
Speranze tradite. Annunci improbabili. Pagamenti in ritardo. E nessuna prospettiva per il futuro. Quello di Garanzia Giovani sarà un compleanno amaro. Domenica il piano europeo di contrasto alla disoccupazione giovanile, per il quale l’Italia ha ricevuto 1,5 miliardi di euro da Bruxelles (un quarto dell’intera somma stanziata per gli Stati con un tasso di giovani fra i 15 e i 24 anni che non studiano né lavorano superiore al 25%), compirà infatti due anni. Lanciata simbolicamente il 1° maggio 2014, giorno della festa del lavoro, nel nostro Paese la Youth Guarantee si è però rivelata un fallimento. Anzi, “un flop annunciato da rimettere il prima possibile nel cassetto”, come la definisce Michele Tiraboschi, docente di Economia all’università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore scientifico di Adapt, che in un nuovo report ha analizzato lo stato dell’arte del piano. Con giudizi tutt’altro che positivi.
PORTE CHIUSE – Perché “resta difficile riporre ora in un cassetto, assieme ai sogni di gloria di una rinnovata festa del lavoro aperta a quanti ne sono sempre stati esclusi, anche quella massa di giovani italiani che ha creduto alla parola del governo – scrive il numero uno del centro studi sul lavoro fondato da Marco Biagi –. Un vero e proprio esercito di giovani di belle speranze che hanno preso sul serio la promessa di una ‘garanzia’ iscrivendosi al programma e mettendosi pazientemente in coda a una porta che, però, per la maggioranza di loro, è rimasta chiusa alimentando rabbia e delusione”. Del resto “i numeri parlano chiaro ed è davvero difficile trovarne una interpretazione positiva – aggiunge –. Se si guarda l’evoluzione dei tassi di occupazione e disoccupazione giovanile e del numero di Neet (cioè i giovani che non studiano né lavorano, ndr) emerge chiaramente come non vi sia stata nessuna significativa inversione di tendenza a partire dal 1° maggio 2014”. Proprio così. Al netto delle cancellazioni, al piano si sono finora iscritti 897mila giovani di età compresa fra 15 e 29 anni (l’Italia ha infatti deciso di alzare l’asticella), di cui 659mila “presi in carico”. Hanno cioè sostenuto un colloquio con il centro per l’impiego e sottoscritto un patto di servizio. Per molti, a cominciare dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, si tratta di “numeri buoni”. “Sta andando meglio di quel che credessimo”, ha spiegato il 30 marzo scorso l’ex presidente di Legacoop.
A
MANI VUOTE – Ma
purtroppo non è così. Il motivo? “Se andiamo ad analizzare il
vero numero importante, quello sulle proposte
concrete fatte
ai giovani iscritti, il quadro si incupisce – scrive Tiraboschi –.
Secondo gli ultimi dati del ministero del Lavoro queste ammontano a
circa 300
mila:
circa un
terzo degli iscritti al
netto delle cancellazioni. Una cifra che di per sé certifica il
fallimento
del piano e
getta una ombra scura sulle illusioni di quei 600 mila ragazzi che
restano al momento a
mani vuote”.
Insomma, una presa in giro. Non solo. Infatti circa il 60% delle
proposte “consiste in tirocini
di dubbia
valenza formativa,
mentre i contratti di lavoro veri e propri sono poco più del 10%,
con un boom a dicembre 2015, ultimo mese in cui una impresa poteva
usufruire del combinato disposto di Garanzia
Giovani e
decontribuzione
per
l’assunzione di un giovane con un contratto
a tutele crescenti”.
E ancora: le offerte pubblicate sul sito del dicastero guidato da
Poletti sono in molti casi decisamente inappropriate al contesto. Si
passa dal maggiordomo
al facchino, dal manovale
con esperienza al pizzaiolo,
dalla segretaria all’addetto al caricamento dati. “Tutti lavori
nobili – ricorda il presidente di Adapt – ma per i quali non si
vede l’esigenza di un tirocinio al posto di un vero e proprio
contratto”.
TRASPARENZA
CERCASI
– L’altro
nodo dolente è rappresentato dalle Regioni. Se da una parte è vero
che ognuna ha definito e attuato un piano
di implementazione
e
i bandi
regionali
sono
presenti in tutta Italia, seppur in ritardo sulla tabella di marcia,
dall’altro esiste una conclamata difficoltà di valutare i
risultati raggiunti a livello locale. “Ad un anno dall’avvio di
Garanzia Giovani
– si
fa notare nel dossier
– solo
un
terzo delle Regioni
forniva
un report
regionale
periodico e, dopo un altro anno, la situazione non si è evoluta.
Alcune Regioni compilano tali report
ma
non li rendono consultabili al pubblico se non su richiesta”. E
così “i risultati di Garanzia
Giovani
divisi
per Regione restano difficilmente
accessibili
e
la situazione si mantiene poco
trasparente
e
chiara”. Con 169.073 registrazioni, la Sicilia
è
la Regione con più iscritti al piano. Il 70,61% (119.386) sono stati
“presi in carico”, ma ad oggi non si conosce il numero delle
proposte concrete. Stesso discorso per la Campania,
dove si sono registrati in quasi 129 mila e in 63.608 sono stati
“presi in carico” (49,33%). Non mancano i casi virtuosi, come
quelli di Lombardia
e
Veneto.
La prima risulta la Regione che al momento ha saputo offrire proposte
concrete al maggior numero di giovani (43.944),
mentre in Veneto il rapporto tra presi in carico e iscritti è sopra
la
media
nazionale
(69%)
e la percentuale degli attivati è la più alta tra le regioni per le
quali questo dato è disponibile (l’85%). Più in generale,
comunque, il rapporto totale
fra
registrati e presi in carico si attesta al 64,67%.
RISCHIO
ESCLUSIONE – Aspetti
negativi, questi, sottolineati anche dalla Commissione
europea.
La quale, pur non producendo un report
specifico di valutazione
periodica sulla Garanzia
Giovani,
in un recente dossier (Country
Report Italy 2016)
ha messo nero su bianco le problematiche esistenti nel nostro Paese.
A cominciare dall’elevata
percentuale di
Neet,
che resta una delle più alte in Europa ed è pari al 22% nella
fascia d’età 15-24 anni. “Emerge quindi preoccupazione per
l’elevato rischio
di esclusione dei
giovani dal mercato del lavoro – ricorda Adapt – che colpisce in
particolar modo i giovani dai profili
medio-bassi”.
Ma non c’è solo questo. La commissione ha infatti sottolineato
come la piena implementazione della Youth
Guarantee e
la capacità di proporre offerte di qualità rimangono ancora la
sfida principale visto che, nonostante una accelerazione delle prese
in carico, ancora soltanto un
terzo di
coloro che sono registrati hanno ricevuto una offerta concreta (e tra
le cause di ciò è indicata quella del frammentato
scenario regionale,
sia dal punto di vista degli schemi di implementazione sia da quello
della comunicazione del piano). Infine, per Bruxelles resta
preoccupante la scarsa
diffusione dell’istruzione
terziaria che,
ferma al 23,9% per la fascia d’età 30-34 anni è tra le più basse
d’Europa.
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