Un racconto di Gian Paolo Frabboni
Era il più bell’Abete del momento e molto ammirato dal proprietario. E
già, era destinato in un grazioso giardino a Marzabotto e qui la
sua vita e il suo sviluppo sarebbe stato facile. Crescendo,
si accorgeva di essere il preferito da tutti.
Nei pressi della ferrovia stavano preparando la sua buca: una grande e
spaziosa dimora perché potessero ospitarlo comodamente. E così fu.
Non è da tutti poter ricevere le confidenze di un “Abete Natalizio” un po’
perché le piante non gradiscono essere strappate dal loro ambiente naturale per
finire in un appartamento riscaldato che non è certo il loro ambiente.
Queste sono le prime frasi che sono riuscito a percepire da un Abete
percorrendo una strada interna di Marzabotto.
A me è capitata l’occasione di avvicinare un albero passando per le sue
strade.
Era certamente un bell’esemplare di albero e si trovava, in un
giardino signorile di una casa.
Lo osservavo sempre con interesse e lui un giorno mi parve voler rispondere
alla mia attenzione: fece dondolare la sua cima facendomi cadere
diversi aghi sulla testa. Mi allontanai dal marciapiede, ma il giorno
dopo mi fece colpire da altri aghi.
Smisi di camminare sul marciapiede e passavo sul lato opposto. Mi
accorsi che questo suo atteggiamento continuava ogni volta che lì
transitavo. Conoscevo, fin da quando piccino ero profugo dai nonni, che
le piante parlano, sentono e si comportano di conseguenza in un modo, a noi non
noto, per attirare l’attenzione. Nonno Carlo mi invitava a rispettare di
tutte le piante e ad amarle perché hanno una loro vita e vanno rispettate.
Un dì passo e la vetta dell’Abete non si muove. Fatto curioso ! Mi
viene da rivolgergli la parola con un bel saluto, “Perché oggi non mi
saluti, ti voglio bene e ti guardo tutti i giorni perché sei
interessante” gli dissi”. Vidi ondeggiare la sua cima. E così
tutte le volte che passavo, al mio saluto, l’Abete rispondeva sempre con
maggior vigore. Il tempo passa e la
Pro-Loco deve prepararsi all’evento natalizio e per le feste.
Quell’albero deve venire da noi ! L’ho pensato diverse volte.
L’ho mostrato a diversi colleghi e Il presidente ha preso contatto con la
proprietà che si è detta disponibile a donarcelo gratuitamente, anche perché
già pensavano di abbatterlo poiché le sue radici si erano fatte così potenti da
creare seri danni all’edificio che lo aveva accolto.
E qui inizia il racconto dell’Abete sulla sua vita:
“Nascere albero, a volte, è una fortuna. Sono nato in semenzaio da un
piccolo seme”.
“Appena germogliato sono stato trasferito in vivaio, accudito,
coccolato, sempre sotto l’attenzione del vivaista che manteneva fresca la
mia terra nei periodi siccitosi”.
Così l’Abete inizia il suo racconto e non sapeva che sarebbe
poi diventato l’Albero di Natale di Marzabotto.
“Il tempo trascorre e sono diventato un magnifico esemplare che, però, davo
segni di insofferenza con i miei lunghi aghi appuntiti”.
“Un dì vidi laggiù , ai miei piedi, qualcuno che mi osservava e
siamo diventati amici. E’ con lui che siamo riusciti ad avere i
primi contatti”.
“Dopo qualche tempo vidi arrivare un grande camion munito di gru e
l’amico-uomo mi fece capire che era giunto il momento del mio trasferimento in
un luogo visibile a tutti e ne fui felice”.
“ Fui caricato su questo automezzo, che non conoscevo e non avevo mai
viaggiato così, ma la mia cima dondolava vistosamente fuori dal camion. Che
bello attraversare le strade marzabottesi osservato dagli abitanti che mi
guardavano sorridendo perché, forse, già forse era nota la mia nuova destinazione”.
“E in breve, fine corsa nella piazza del paese. ” “Che emozione
!” “Ad accogliermi, con tanti applausi, erano bambini e adulti che
erano lì in attesa”.
“Si alza la gru ed eccomi depositato in una grande cesta. Mi fissano sul
tronco tiranti per farmi rimanere perfettamente diritto e per eliminare
ogni pericolo di caduta
. Sono molto alto, lo so, e di lassù domino tutta la piazza e vedo sotto
muoversi le persone quasi fossero pigmei e i bambini correre in
cerchio attorno a me. Vedo donne e uomini indaffarati con pacchetti,
scatole e altre cose che non conoscevo. Anche nello spazio verde
della monumentale Chiesa noto alcune persone indaffarate. Da lassù godevo
la gioia del momento e mi pavoneggiavo dall’alto dei miei 29 metri. Ero
veramente felice”. E’ ormai sera il buio prende il sopravvento e tutti
fanno ritorno alle loro case.
Buona cena !
“E’ trascorso un po’ di tempo e vedo formarsi piccoli gruppetti di adulti e
molti bambini . Arriva molta gente; guardano in alto per vedere la mia cima ma
non riescono a vederla . E’ buio, però sento armeggiare
nei pressi della mia base e verso il verde della
scalinata della grande Chiesa. E’ la presidente della Pro
loco con altre persone e pochi istanti dopo,
improvvisamente, s’accendono un’infinità di luci che illuminano
tutte le mie fronde e anche la parte della
scala della Chiesa”. “Gian Paolo
mi spiega che è stata fatta l’accensione ufficiale
dell’Albero-di-Natale-e-Presepe”.
“Sento canti e gridolini gioiosi di bambini che corrono e sgambettano sulla
piazza che si era riempita di ‘umani’”.
“Nei giorni successivi sono stato vestito di infiniti colorati
festoni, fino a coprire la terra del grande cesto che mi ospitava e ogni
ramo veniva appesantito da pacchetti e pacchettini in continuo dondolamento. Mi
pareva vivere in un mondo straordinario. Non era mai notte e le mie mille
luci brillavano sempre. Ero talmente felice che ho cessato di lasciar cadere
gli aghi; li volevo tutti per me e mantenere intatto il mio abito da mostrare
con orgoglio ai passanti sulla Porrettana e notavo gli autisti rallentare
la loro marcia per osservarmi”.
“Mi sono accorto che molti erano interessati a me, mi guardavano in ogni
direzione, mi scrutavano, mi fotografavano, e mi esaminavano Poi
passavano a contemplare il Presepe e sostavano sempre in silenzio”. “Gian
Paolo mi ha spiegato che il Natale ricorda la nascita di Gesù che è
il figlio del Signore che ha creato il mondo. Allora ha creato anche me
?”
Gian Paolo: “Si caro Abete
anche te, così come tutto quel che esiste al mondo è opera del Signore”.
“Quando vivevo nel giardino, invece, i miei aghi secchi e appuntiti li
lasciavo cadere addosso ai passanti con loro disappunto e quando vedevo
signore ben agghindate, con un’acconciatura nuova, aspettavo che fossero sotto
tiro e scuotendo fortemente tutti i rami e facevo scendere una pioggia di
aghi sulle loro teste, per udire le loro imprecazioni”.
“Quanti baci sotto me. Alcuni erano così forti che mi
svegliavano, quelle poche volte che riuscivo ad assopirmi, quante carezze,
quante paroline dette sottovoce, quante promesse sussurrate giungevano,
nel gran silenzio, dalle panchine, sempre tutte occupate, che erano
fisse ai miei piedi. A volte il vociare umano avvolgeva anche la
mia cima, mentre tentavo di farlo scemare col fruscio delle mie fronde e
l’aiuto del vento”.
“Le belle ragazze dell’Info, nei dì di festa, si ponevano in mostra assai
vaporose e allegre pronte per il prossimo impegno, sol una mancava, la bella e
seriosa segretaria della Pro-Loco impegnata nel Ricevimento Turistico. Poi
veloce appariva per un saluto e improvvisamente si dileguava con la sua bici
bianca, mentre corpulenti o imbiancati personaggi si nascondevano,
seduti sulle panchine, sotto le mie fronde, fingendo di leggere il giornale ma
in osservazione di piacevoli signore o ragazze . Che bell’esperienza è,
per me, essere albero”.
“Penso, che terminate queste feste, sarei lieto se fossi
depositato in un luogo nel bosco dove, in una baita in legno, festosi
bambini si radunano attorno al camino per ascoltare favole dai nonni e, nella
festosità del momento, allungano le loro manine per riscaldarsi, per tanto
tempo ancora, al calore dei miei rami.
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