Servono politiche settoriali di medio-lungo termine e strumenti di gestione del rischio per contrastare la disaffezione crescente verso colture ritenute strategiche»
Grano, sorgo e orzo insieme ai semi
oleosi colza e girasole si confermano in regione tra le
coltivazioni più anti crisi, cioè che hanno risposto meglio ai rincari
dell’energia e dei mezzi tecnici (concimi, sementi e fitofarmaci), e agli
effetti del cambiamento climatico. Frutta, mais, soia e
barbabietole da zucchero scontano invece il contraccolpo maggiore.
Inoltre non mancano i timori sul futuro del pomodoro da
industria, che di fatto richiede investimenti importanti, concimazioni
mirate e tanta acqua.
Il 2022 ha addirittura costretto una parte delle
imprese a scegliere quali colture irrigare, spesso lasciando indietro i campi a
seminativo, con il risultato che in Emilia-Romagna il raccolto del mais è
calato del 25% circa e quello della soia del 35% (in alcuni appezzamenti la
soia non è stata neanche trebbiata a causa della scarsa resa).
È quanto emerge dal bilancio colturale
2022 redatto da Confagricoltura Emilia Romagna, che ci proietta in
avanti delineando lo scenario e i piani aziendali per l’anno a venire.
«In questo momento - commenta il presidente di
Confagricoltura Emilia Romagna, Marcello Bonvicini - le
aziende agricole effettuano gli acquisti in vista della nuova campagna ormai
alle porte, tuttavia manca la liquidità e i prezzi di concimi, sementi e
fitofarmaci sono di gran lunga superiori a quelli di fine 2021. A ciò si
aggiunge il costo del denaro che non è certo quello di un anno fa. Pertanto, al
prezzo attuale, è impossibile anche solo comprare i fertilizzanti e c’è già chi
programma di ridurre le concimazioni del 60-70% mettendo in forse la redditività
– avverte il presidente regionale -. Servono politiche settoriali di
medio-lungo termine, infrastrutture idriche da troppo tempo richieste ma mai
realizzate oltre a strumenti di gestione del rischio, di difesa del reddito.
Preoccupa la disaffezione crescente verso colture del territorio che oggi non
danno più certezze, ad esempio la coltivazione del pero. E non possiamo
permetterci di perderle. Anche la barbabietola da zucchero ha subito una
flessione importante (-30%), però bisogna sostenerla per la sua valenza
agronomica, come coltura da rinnovo». Bonvicini ricorda infine la lezione che
la pandemia da covid ci ha lasciato, ossia «garantire la sicurezza alimentare
riducendo il più possibile la dipendenza del Paese dalle importazioni di
prodotti agricoli chiave».
Nel dettaglio, i conti colturali 2022 dicono
che il grano tenero in Emilia-Romagna ha segnato
in media rese positive, sui 65 quintali ad ettaro, e il duro attorno
ai 60 quintali a ettaro a fronte del balzo dei costi: + 25% circa su base annua
sia per il tenero che per il duro. L’annata agraria ha soddisfatto i
coltivatori di sorgo (destinato in particolare alla
mangimistica e all’alimentazione del bestiame), e di girasole soprattutto
da seme.
Ad accusare maggiormente la fiammata dei prezzi e la sferzante siccità sono state invece alcune colture ritenute strategiche per il made in Italy agroalimentare a partire dalle produzioni frutticole. Per le varietà precoci di pesche e nettarine si è speso 1500 euro in più a ettaro rispetto all’anno scorso; per mele e kiwi, in raccolta ora, anche 3500 euro in più. Tra le colture estensive il mais ha visto aumentare i costi di produzione da 1900 a 2850 euro a ettaro nel periodo 2021/2022 (soltanto i concimi +150% e l’irrigazione +60%); la soia da 1050 a 1600 euro a ettaro.
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