martedì 15 giugno 2010

Al Centro Tutela e Ricerca Fauna Esotica e Selvatica Monte Adone




Fra i numerosi ospiti del Centro Tutela e Ricerca Fauna Esotica e Selvatica Monte Adone a Brento di Sasso Marconi, alcune tigri, una femmina di leopardo, una lince, diversi leoni, persino dodici scimpanzé e otto scimmiette, cinque orsetti lavatore, ma anche falchi pellegrini, pappagalli e un numero notevole di ogni specie selvatica autoctona. Ma i più coccolati dai volontari che accudiscono il ricco ventaglio di fauna esotica ed autoctona sono ora i 22 piccoli di capriolo che prendono il latte direttamente dal biberon. Per la poppata viene utilizzata la sagoma di una femmina di capriolo in quanto questi animali non possono essere allettati dall’uomo poiché, se nutriti da mani umane, l’animale finirebbe per ritenere l’uomo un suo simile. Ciò comporterebbe che una volta diventato adulto e rimesso in natura, nel periodo in cui la specie difende il territorio, finirebbe, se maschio, per scacciare a cornate l’uomo come dovrebbe fare per un suo simile e agisce in modo violento anche verso chi l’ha allattato. In alcuni casi questa confusione ha reso necessario abbattere gli esemplari allevati in modo sbagliato. Al centro spiegano la presenza del numero elevato di piccoli caprioli, fra cui uno ferito ad entrambe le gambe posteriori, con il modo che la madre ha di accudire il neonato. Questa si allontana dal suo piccolo alla ricerca di cibo. Il neonato, nelle prime tre settimane di vita, aspetta che la mamma ritorni e non abbandona il luogo in cui essa l’ha lasciato appunto perché lo possa ritrovare con facilità. Questo lo rende però indifeso e può succedere che il piccolo venga intercettato da un mezzo agricolo e che ne subisca brutte ferite. “Oppure qualcuno lo trova e pensando che sia abbandonato pensa bene di portarlo a noi”, spiegano i gestori del centro. Rudi Berti che nell’89 ha fondato il centro è molto orgoglioso del suo operato e racconta: “Il centro offre un servizio di emergenza attivo tutti i giorni 24 ore su 24 e dispone di operatori in grado di dare le prime cure all’animale ferito. Si basa esclusivamente sul lavoro dei volontari. Lo scopo comune e prioritario è quello i garantire il benessere degli animali. Ai volontari è necessario quindi un periodo iniziale di almeno venti giorni continuativi durante il quale vengono appresi i procedimenti base per operare in modo adeguato”. Il centro è anche la meta di molti che vogliono visitare e vedere quello che pare impossibile possa esistere alle porte di Bologna. “Questo impegno diventa sempre più difficile anche se organizzato in visite guidate a numero chiuso”, spiega Mirca Negrini, che con il marito Rudi Berti gestisce il centro. “ Questo compito ci distoglie dall’impegno primario che è quello di accudire agli animali e curarli. Siamo già costretti a posticipare di un anno le richieste di oggi”.

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