Un solo cinghiale, se di dimensioni importanti, può arrecare danni notevoli ai terreni agricoli. Questa è l’opinione di Gianfranco Nanni (nella foto) capo del distretto di caccia numero 6, che coordina le attività venatorie nell'area tra Mongardino, Calderino e Montasico, in provincia di Bologna.
Gli agricoltori da tempo lamentano gli effetti devastanti della presenza dei cinghiali, animali che, alla ricerca di cibo, creano solchi profondi nei campi coltivati, con ripercussioni significative sulle rese agricole. Ma al problema dell'invadenza di questi ungulati si aggiunge una nuova emergenza sanitaria: la peste suina africana. I cinghiali, infatti, non solo ne sono vittime, ma anche potenziali portatori, mettendo a rischio gli allevamenti di suini industriali e domestici.
Se la malattia dovesse raggiungere un allevamento, le conseguenze sarebbero drammatiche: l'abbattimento di tutti i capi infetti e la perdita di uno dei settori di eccellenza della filiera alimentare emiliano-romagnola, quello delle carni suine e dei salumi. Per prevenire il contagio, sono state adottate rigorose misure di biosicurezza, tra cui la separazione totale tra cinghiali selvatici e maiali allevati. Inoltre, si conta sull'intervento dei lupi, predatori naturali e “spazzini” di carcasse infette, e sull'attività venatoria.
La strategia di contenimento del distretto di caccia 6
“Grazie a una buona coordinazione fra le squadre, siamo in grado di intervenire in modo incisivo, quasi chirurgico, dopo un'attenta verifica della situazione”, spiega Gianfranco Nanni. L'organizzazione del distretto si basa su dati raccolti in una vasta area, che consentono di agire in modo mirato.
Secondo Nanni, rispetto all'anno scorso, i danni causati dai cinghiali sono diminuiti sensibilmente, grazie all'efficacia delle operazioni messe in atto. Due sono i metodi principali utilizzati per il contenimento selettivo:
La braccata: coinvolge un numero consistente di cacciatori posizionati in punti strategici e una muta di cani che esplora l'area per stanare e indirizzare i cinghiali verso i tiratori.
La girata: un intervento più mirato, con pochi cacciatori e un solo cane, utilizzato in aree specifiche dove è necessario un prelievo selettivo.
Una gestione organizzata e trasparente
La suddivisione del territorio di caccia è gestita proporzionalmente al numero di squadre operative. “Ogni anno è prevista una rotazione delle aree assegnate alle squadre”, sottolinea Nanni. “In questo modo, si evita che i gruppi riducano volutamente il prelievo per garantire una maggiore abbondanza di selvaggina nell’anno successivo. Al contrario, la rotazione incentiva le squadre a raggiungere gli obiettivi prefissati, contribuendo al contenimento del numero di capi e alla protezione dei terreni agricoli”.
Il ruolo dei cacciatori, dunque, si rivela fondamentale per mitigare i rischi associati alla sovrappopolazione dei cinghiali, ridurre i danni all'agricoltura e prevenire la diffusione di malattie. Una sfida complessa che richiede coordinazione, competenza e un impegno costante da parte di tutte le parti coinvolte.
5 commenti:
Adesso i cacciatori cercano di rimediare al danno che hanno causato con le massicce immissioni di cinghiali su tutto il territorio italiano.
Cercano di rimediare al danno prendendoci in giro, perché affermano di adottare delle strategie per ripararlo! In verità vogliono mantenere la loro attività come prima più di prima. L'unico rimedio è quello di eliminare gli ungulati e riportare il territorio appenninico a quello che era trent'anni fa circa.
non le va mai bene nulla ? una volta si diceva " meglio tardi che mai "
Soprattutto di cinghiali ibridi, incrociati con maiale. Cinghiali di peso enorme e riproduzione eccessiva due volte all'anno!
Bravi cacciatori!!
Balle create apposta dall ignoranza degli ambientalisti da divano che non hanno l intelligenza di documentarsi sugli aspetti biologici della specie. Una scrofa di 40kg e otto mesi si può già riprodurre. Gli errori degli anni 90 dei cacciatori erano appoggiati dai politici che ne cercavano i voti
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