Non avevo saputo dare al giorno di ferragosto il ‘sapore’ pagano che la festa pretende. Non ero in un luogo di villeggiatura a godere la frescura dei monti e il sollievo del mare. Non stavo inoltre bruciando quel giorno con una piacevole compagnia che mi facesse pregustare una promettente serata. Ero a casa attorniato da un caldo paralizzante in attesa che il sole si inabissasse dietro le montagne e lasciasse il posto alla freschezza della luna e a una nottata sopportabile. Ero al bar. Il gestore bagnava spesso il selciato con l’intento di rinfrescare, ma la tregua dal caldo era di pochi minuti. La temperatura elevata evaporava in poco tempo l’acqua versata e l’afa aumentava trasformando il porticato in un bagno turco. Non mi fermai quindi a leggere il giornale. Rassegnato a un pomeriggio pesante e eterno mi incamminai svogliatamente verso casa quando mi sentii chiamare. Mi guardai attorno quando da un tavolo del caffè si alzò Ricci. Era stato un mio compagno alle elementari . Lo riconobbi subito anche se erano parecchi anni che non ci vedevamo. Era sempre lo stesso: capelli corti quasi a zero e viso tutto pelle e ossa tanto da distinguerne chiaramente tutti i tratti ossei del teschio. Mi fermai seccato per essere stato interrotto nel mio programma. Non avevo voglia di convenevoli. Ricci, sorpreso dal mio atteggiamento distaccato e non cordiale, credette di aver fermato la persona sbagliata e raggiuntomi chiese:
“Sei Pietro vero?”
“Certo! Come va Ricci?” e gli porsi la mano. Ricevetti una stretta forte, compiaciuta dell’incontro e cordiale, genuina come le sue mani sudate.
“Ne è passato del tempo da quando andavamo a scuola” continuò Ricci. “Ma indietro non si torna”.
“Certo indietro non si torna” confermai stupito per quel ‘indietro non si torna’ che mi pareva inopportuno per una conversazione appena iniziata . Pensai che Ricci, di animo semplice, ingenuo e anche un po’ limitato se non addirittura ritardato, fosse rimasto colpito da quella frase che qualcuno gli aveva detto durante una precedente conversazione sui ricordi del passato. La ripeteva quindi come fosse parte di un copione che dava maggior valore ad ogni incontro con i suoi amici e i conoscenti di vent’anni prima. L’occasione gli era parsa propizia.
“Mi sono sposato, sai” aggiunse subito con soddisfazione e non con la malizia di chi voleva sottolineare ‘cosa credevate che fossi tutto scemo? ’. C’era nella sua semplicità la convinzione di dare una notizia buona e importante.
“Bene. Mi fa piacere e dove abiti adesso?”
“Abito a Battipaglia.” E poi non aggiunse altro come a volermi passare la parola. Toccava a me dare notizie della mia situazione, ma non ne avevo l’intenzione. Avrei dovuto riferire del mio matrimonio fallito e del divorzio. Con altri ne avrei parlato, ma con Ricci no, era l’ultima persona con cui desideravo parlarne. L’avrei solo stupito, confuso e non avrei avuto nessun conforto, quindi:
“Ricci scusami. Mi aspettano a casa. Ti devo salutare. Tanti auguri a te e alla tua famiglia.” E gli tesi la mano per avere conferma di commiato che Ricci prontamente mi diede con una seconda stretta affettuosa. Non avevo bisogno di ulteriori scuse. Il mio interlocutore non avrebbe mai pensato a una ragione diversa da quella che gli riferivo, avrebbe creduto a tutto e non avrebbe voluto fissare un nuovo incontro per rinverdire la nostra amicizia. Ricci non aveva mai chiesto nulla e aveva sempre accettato quello che gli veniva dato , convinto di non meritare di più. Partii a passo spedito come se ci fosse veramente qualcuno ad aspettarmi e mi premesse non farlo attendere. Ripensavo a Ricci, al suo sincero piacere per avermi rivisto. Alla sua spontaneità e alla sua mano sudata che confermava come fosse rimasto fuori dalla cura di ogni formalità e dalla logica di dover apparire più che essere. Logica che invece aveva condizionato la mia vita. Ripensai alla sua soddisfazione nel dire ‘sono sposato’. Ricci di ragazze innamorate non ne aveva mai avute. Accettato in compagnia perché lo si poteva burlare senza che se avvedesse, era anzi soddisfatto per l’interessamento che egli credeva amicizia. Ricci non aveva ambizioni ed era un uomo felice. La moglie poteva essere anche una poco di buono e quel matrimonio una copertura per intrighi di altri, ma lui era orgoglioso. Incapace di concepire inganni, non poteva ritenere che altri lo ingannassero. Comunque fosse, da quel matrimonio chi ne guadagnava era lui: era un uomo sereno e felice. Mi venne in mente la frase del Vangelo ‘Beati i poveri di spirito perché di essi è il Regno dei cieli’. Ricci confermava la mia convinzione: il paradiso è in terra se sei capace di crearlo. Cristo, nella sua proposta religiosa, ha indicato il modo per vivere sereni. Ha indicato quale è ‘il paradiso terrestre’ in cui i ‘poveri di spirito’ sono naturalmente avvantaggiati. Pensai poi a me: un passato da dimenticare e un futuro incerto e traballante. Mi ero illuso che per me tutto fosse semplice e facile: avevo potuto scegliere la professione che preferivo, la moglie che desideravo e buone amicizie. Poi il divorzio, affrontato con la stessa leggerezza con cui ero giunto al matrimonio: solo due ‘semplici ‘ fatti del mio programma di vita. Il matrimonio, sotto la facciata del grande amore appagato, nascondeva la sistemazione economica e una immagine sociale che mi dava ‘titolo’ di affiancarmi alla ‘società bene’. Avevo scelto la moglie sufficientemente bella, adeguatamente educata e ricca per ‘il professionista’ che vuole dare di se’ un’immagine positiva e vincente, utile quindi all’affermazione professionale. Su queste basi però la costruzione era risultata priva di solidità. Il divorzio era parso a tutti e due la logica conseguenza per superare le incomprensioni e i timori che ci affliggevano. Separazione voluta non per incompatibilità, ma perché temevo che mia moglie , di cui mi pareva di aver perso il controllo, sempre che l’avessi avuto, e con cui la convivenza era diventata pesante per i dubbi che mi potesse tradire, appannava la mia immagine. Probabilmente le stesse motivazioni e gli stessi timori avevano motivato il comportamento di mia moglie. Ci eravamo trovati d’accordo solamente due volte: al sì del matrimonio e al sì del divorzio. Con la moglie, avevo perso anche le amicizie e con le amicizie anche molto lavoro. I miei migliori clienti erano infatti compresi nella cerchia delle amicizie. Infatti con gli amici, non più legati dalla stessa situazione sociale e dagli stessi interessi, ci eravamo allontanati. Il distacco dalla amicizie consuete non mi era dispiaciuto. Evidentemente il legame non era affettivo, ma formale. Mi era invece pesata la constatazione che la collaborazione di lavoro e quindi la fiducia sulle mie qualità, non era basata sulla mia capacità professionale. ‘Sbagliando si impara’, mi dicevo. Mi preparavo però anche a risalire la china. I miei traguardi erano ancora gli stessi. Certo non avrei tanto facilmente affiancato la mia vita a quella di una donna, ma non ero rassegnato. Mi sarebbe sembrato di non aver vissuto se non avessi soddisfatto a pieno il mio orgoglio e la mia ambizione. Intendevo rifarmi una posizione sociale ed economica invidiabile. Non potevo essere una persona comune. Sarei ripartito facendo tesoro dell’esperienza vissuta: “Mi ricreerò una clientela frequentando club e associazioni”, mi raccontavo. “Darò più attenzione al lavoro riempiendo così i tempi di solitudine. Voglio denaro poiché con quello sarò in grado di soddisfare ogni mia esigenza e avere la considerazione generale”. Ma poi mi tornava in mente Ricci. “Se si trovasse a dover affrontare un cambiamento radicale come il mio lo accetterebbe con la stessa semplicità con cui aveva vissuto fino ad allora,” mi dicevo, “come eventi naturalmente conseguenti fra loro e si adeguerebbe alla nuova situazione senza rimpianti e con la capacità di individuare il ‘buono’ dalla nuova realtà. Beata incoscienza!” dissi tra me e me. Il futuro mi avrebbe riservato una sola amicizia, quella del denaro. “Dovrò vestire l’abito del monaco per essere lupo. Dare importanza a tutte quelle formalità utili a offrire una immagine di me positiva e rassicurante. Curare la mia mano che non dovrà essere sudata come quella di Ricci” e poi aggiunsi ‘e portarmi dentro il dubbio che la vita migliore sia la sua che gli dà la capacità di accettare il mondo come viene’. Ma poi convenni per rassicurami : “La somma dei valori della serenità e dell’ambizione ha un risultato fisso: se vuoi un valore alto per la serenità abbassa quello delle ambizioni e viceversa. Ma purtroppo non sempre i valori li diamo noi: la natura ci domina e ci condiziona. Non saprei lavorare se non per un futuro che deve essere prestigioso. Il presente non esiste. Esso è solo una pietra per costruire l’edificio della mia vita di cui io sono l’architetto. E’ questa la mia grande ambizione che comporta però serenità ‘zero’. Dovrò annullarmi per questo edificio e gioire di esso. Gli altri o sono strumento utile a questa costruzione o nessuno. Niente amicizie, niente affetti, nessuno sbaglio, nessuna imperfezione, nessun rischio, nessun dubbio , nessun sentimentalismo. Questi i paracarri della strada da percorrere anche se già so che sarà deludente, sconsolante e deprimente, a sera, non confidare nella sincera buonanotte di un bambino che sia forma concreta e che mi dia la sensazione di non aver vissuto quel giorno solo per il giorno dopo”.
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