Segnalato
«Sono entrata in Saeco nel
1990, il 15 novembre sono 26 anni passati qui». Gabriella Venturi ha
54 anni, quasi metà della sua vita passata nella multinazionale del
caffè di Gaggio Montano. Il 15 novembre non sarà solo
l’anniversario della sua assunzione: sarà la data del suo
licenziamento.
Insieme
a lei sono oltre 230 gli operai — in cassa integrazione a zero
ore — che hanno firmato l’accordo tra sindacati, Regione e
Philips a conclusione di una vertenza che è diventata, nei 71 giorni
di presidio davanti alla fabbrica, il simbolo della crisi industriale
dell’Appennino. In 243 avevano accettato l’incentivo ad
andarsene: a fine settembre la Regione censiva quattro licenziamenti
anticipati, mentre Marino Mazzini della Cisl conta «una decina di
conciliazioni». Si tratta di persone che hanno trovato un altro
lavoro o hanno aperto un’attività imprenditoriale. La grande
maggioranza, invece, è ancora alla ricerca. E da martedì sarà
senza lavoro: «Io ho fatto domande dappertutto — racconta Raffaele
Falzoni, che fino a pochi giorni fa era nella rsu —. Ma se il
settore metalmeccanico è già in crisi nelle grandi città dove ci
sono più possibilità, qui non ci sono proprio sbocchi». Raffaele
ha 47 anni. Un’età che non lo aiuta: «Lavoro da 32 anni, sono in
Saeco da 15, non sono abbastanza vecchio da andare in pensione, non
sono abbastanza giovane da essere appetibile per le aziende».
Se
si guarda indietro, però, non rimpiange la scelta di andarsene:
«Lo farei ancora — assicura —. Io non credo assolutamente nella
promessa di rilancio di Philips. Sicuramente ho i miei problemi e le
mie inquietudini per il futuro, ma anche chi è rimasto indietro ».
Dal 16 novembre, Raffaele sarà in mobilità. E, come per i suoi
colleghi in uscita dalla Saeco, inizieranno le operazioni per avviare
il piano di accompagnamento e sostegno per la ricollocazione
professionale dei dipendenti. Corsi di formazione, attività di
orientamento, tirocini per cui è stato stanziato un milione di euro:
non tutti andranno ai dipendenti Saeco, ma la maggior parte sì. I
primi 150.000 euro finanzieranno le azioni di presa in carico,
accoglienza, orientamento al via nei prossimi giorni, dopo il
licenziamento. L’attesa del 15 novembre, secondo viale Aldo Moro,
era obbligata, anche se non tutti i dipendenti l’hanno apprezzata.
Stefano Stefanelli, altro ex rsu, ha 47 anni, una moglie e un figlio.
Anche lui ha mandato una lunga serie di curriculum, senza successo.
E
ora aspetta i corsi: «Il bando era fatto per i disoccupati e noi
eravamo in cassa fino al 15 novembre, purtroppo questo tempo è stato
un po’ sprecato — sostiene —. Prima che i corsi partano
effettivamente passerà un altro po’ di tempo, non so se ce la
faranno entro fine anno». C’è chi ha deciso di muoversi per conto
suo: «Non mi fido tanto di questa cosa, mi è sembrata più una
manovra politica — spiega Rina Odore, un’altra dipendente che,
dopo 17 anni, darà l’addio allo stabilimento di Gaggio Montano —.
Mi sono iscritta a un corso di estetica, a Bologna, che forse mi
potrà aiutare». Non è la prima strada che ha tentato, per la
verità: «Io qualche domanda l’ho fatta, ma sono tutti un po’ in
crisi — racconta —. Allora mi sono buttata su questa cosa, che mi
è sempre piaciuta ma non ho mai avuto la possibilità di fare». E
anche lei non rimpiange la scelta di andarsene: «Ora sono più
serena, anche se ho molti problemi. Loro non offrivano nessuna
possibilità di fidarti».
Ma
come si trova lavoro, in un’area che vede una crisi dietro l’altra,
e in cui la Saeco è stata solo un passaggio tra drammi di altre
aziende come Demm e Stampi Group? Rina non esclude nulla: «Male che
vada, me ne andrò. Sono sola e non sono di qui». C’è pure chi,
in questi mesi, non ha mandato curriculum perché non ha mai pensato
di avere possibilità: «Alla mia età è difficile trovare qualcosa
— racconta Gabriella —. E ho una lunga serie di acciacchi, sono
abbastanza rovinata. Mi sono messa a fare la nonna. Poi chiaramente i
corsi li farò, devo prendere la mobilità».
L’unica
cosa certa, per il futuro, è che da metà novembre, in Appennino,
ci saranno oltre 230 persone in più in cerca di un lavoro. E per la
montagna la fine dell’incubo è ancora lontana: «In questo momento
ancora non si vede la luce in fondo al tunnel — spiega Marino
Mazzini, della Fim Cisl —. Speriamo che ci possa essere, però non
so se ci sarà. E per ora, chi sta soffrendo sono i lavoratori».
Parere simile per Stefano Zoli, della Fiom, che invita le istituzioni
a mantenere gli impegni: «Non solo sulla formazione, ma anche sulla
reindustrializzazione ». In base all’accordo, infatti, Philips
dovrà dare in affitto lo stabilimento lasciato vuoto, una volta
completato il suo recupero. E sotto questo aspetto, sembra che ci
siano alcune manifestazioni di interesse.
Andate al SUAP che vi assume tutti.
RispondiElimina