mercoledì 9 novembre 2016

Ancora 'nubi nere' sul cielo della Saeco. La prossima settimana circa 230 operai saranno in mobilità.

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«Sono entrata in Saeco nel 1990, il 15 novembre sono 26 anni passati qui». Gabriella Venturi ha 54 anni, quasi metà della sua vita passata nella multinazionale del caffè di Gaggio Montano. Il 15 novembre non sarà solo l’anniversario della sua assunzione: sarà la data del suo licenziamento.
Insieme a lei sono oltre 230 gli operai — in cassa integrazione a zero ore — che hanno firmato l’accordo tra sindacati, Regione e Philips a conclusione di una vertenza che è diventata, nei 71 giorni di presidio davanti alla fabbrica, il simbolo della crisi industriale dell’Appennino. In 243 avevano accettato l’incentivo ad andarsene: a fine settembre la Regione censiva quattro licenziamenti anticipati, mentre Marino Mazzini della Cisl conta «una decina di conciliazioni». Si tratta di persone che hanno trovato un altro lavoro o hanno aperto un’attività imprenditoriale. La grande maggioranza, invece, è ancora alla ricerca. E da martedì sarà senza lavoro: «Io ho fatto domande dappertutto — racconta Raffaele Falzoni, che fino a pochi giorni fa era nella rsu —. Ma se il settore metalmeccanico è già in crisi nelle grandi città dove ci sono più possibilità, qui non ci sono proprio sbocchi». Raffaele ha 47 anni. Un’età che non lo aiuta: «Lavoro da 32 anni, sono in Saeco da 15, non sono abbastanza vecchio da andare in pensione, non sono abbastanza giovane da essere appetibile per le aziende».
Se si guarda indietro, però, non rimpiange la scelta di andarsene: «Lo farei ancora — assicura —. Io non credo assolutamente nella promessa di rilancio di Philips. Sicuramente ho i miei problemi e le mie inquietudini per il futuro, ma anche chi è rimasto indietro ». Dal 16 novembre, Raffaele sarà in mobilità. E, come per i suoi colleghi in uscita dalla Saeco, inizieranno le operazioni per avviare il piano di accompagnamento e sostegno per la ricollocazione professionale dei dipendenti. Corsi di formazione, attività di orientamento, tirocini per cui è stato stanziato un milione di euro: non tutti andranno ai dipendenti Saeco, ma la maggior parte sì. I primi 150.000 euro finanzieranno le azioni di presa in carico, accoglienza, orientamento al via nei prossimi giorni, dopo il licenziamento. L’attesa del 15 novembre, secondo viale Aldo Moro, era obbligata, anche se non tutti i dipendenti l’hanno apprezzata. Stefano Stefanelli, altro ex rsu, ha 47 anni, una moglie e un figlio. Anche lui ha mandato una lunga serie di curriculum, senza successo.
E ora aspetta i corsi: «Il bando era fatto per i disoccupati e noi eravamo in cassa fino al 15 novembre, purtroppo questo tempo è stato un po’ sprecato — sostiene —. Prima che i corsi partano effettivamente passerà un altro po’ di tempo, non so se ce la faranno entro fine anno». C’è chi ha deciso di muoversi per conto suo: «Non mi fido tanto di questa cosa, mi è sembrata più una manovra politica — spiega Rina Odore, un’altra dipendente che, dopo 17 anni, darà l’addio allo stabilimento di Gaggio Montano —. Mi sono iscritta a un corso di estetica, a Bologna, che forse mi potrà aiutare». Non è la prima strada che ha tentato, per la verità: «Io qualche domanda l’ho fatta, ma sono tutti un po’ in crisi — racconta —. Allora mi sono buttata su questa cosa, che mi è sempre piaciuta ma non ho mai avuto la possibilità di fare». E anche lei non rimpiange la scelta di andarsene: «Ora sono più serena, anche se ho molti problemi. Loro non offrivano nessuna possibilità di fidarti».
Ma come si trova lavoro, in un’area che vede una crisi dietro l’altra, e in cui la Saeco è stata solo un passaggio tra drammi di altre aziende come Demm e Stampi Group? Rina non esclude nulla: «Male che vada, me ne andrò. Sono sola e non sono di qui». C’è pure chi, in questi mesi, non ha mandato curriculum perché non ha mai pensato di avere possibilità: «Alla mia età è difficile trovare qualcosa — racconta Gabriella —. E ho una lunga serie di acciacchi, sono abbastanza rovinata. Mi sono messa a fare la nonna. Poi chiaramente i corsi li farò, devo prendere la mobilità».
L’unica cosa certa, per il futuro, è che da metà novembre, in Appennino, ci saranno oltre 230 persone in più in cerca di un lavoro. E per la montagna la fine dell’incubo è ancora lontana: «In questo momento ancora non si vede la luce in fondo al tunnel — spiega Marino Mazzini, della Fim Cisl —. Speriamo che ci possa essere, però non so se ci sarà. E per ora, chi sta soffrendo sono i lavoratori». Parere simile per Stefano Zoli, della Fiom, che invita le istituzioni a mantenere gli impegni: «Non solo sulla formazione, ma anche sulla reindustrializzazione ». In base all’accordo, infatti, Philips dovrà dare in affitto lo stabilimento lasciato vuoto, una volta completato il suo recupero. E sotto questo aspetto, sembra che ci siano alcune manifestazioni di interesse.


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