Pietro Sabbioni |
L’assessore all’ambiente di Sasso Marconi Pier Paolo Lanzarini,
in occasione di una discussione consiliare, ha avuto modo di riferire sulle
aziende agricole che registrano, nei comuni dell’Appennino, una preoccupante
‘moria’ ed ha elencato i dati: nel comune
di Gaggio Montano, ad esempio, negli ultimi 10 anni il numero delle imprese
agricole si è pressoché dimezzato.
Il dato ha piuttosto sorpreso, anche perché con la
crisi dell’industria e dell’artigianato si è parlato di una ripresa del settore
agricolo cui si sarebbero rivolti
numerosi giovani.
Abbiamo incontrato il referente del settore
lavoro-impresa della Confederazione
Italiana agricoltori di Bologna (CIA) Pietro Sabbini e gli abbiamo chiesto conferma
sui dati di chiusura di impresa.
“Purtroppo è così. Ciò è dovuto principalmente all’età
elevata degli operatori e al fatto che
sono purtroppo difficoltosi il ricambio generazionale e i nuovi
inserimenti nel settore. Questo per diversi motivi: il principale è dovuto alle
difficoltà di ricavare redditi
soddisfacenti dall’attività agricola specialmente nelle zone montane perché si
produce di meno a costi più elevati. Inoltre
il boom industriale degli anni ’70 ha attirato i figli degli agricoltori verso
altri settori che assicuravano meno sacrifici e maggiori entrate. Infine è impossibile iniziare l’attività agricola se
non si è in possesso di un consistente capitale iniziale e di un bagaglio
operativo specifico del settore che si acquisisce
solamente con l’esperienza ‘sul campo’.
I tempi per apprenderlo sono lunghi”.
Se tutto questo è vero dobbiamo rassegnarci a
perdere l’agricoltura di montagna ?
“Il problema è reale ed è più ampio di quello che
generalmente si crede. L’agricoltore oltre
all’utilizzo agricolo dei campi,
assicura la salvaguardia, il presidio e la tutela dell’ambiente montano
estremamente fragile e che non può essere abbandonato. Per questo motivo
diventa indispensabile che il tema dell’abbandono dell’agricoltura in montagna
venga preso in seria considerazione da tutto il sistema politico-economico. Se
il territorio non può essere fruibile perché abbandonato ne risente il turismo,
il commercio e l’intera economia della montagna”.
E’ insistente da parte degli agricoltori la
lamentela per l’eccessiva presenza di ungulati e per il carico burocratico
scoraggiante. Cosa ne dice?
“Sono pienamente d’accordo. A mio parere occorre
trasformare il problema degli ungulati in una opportunità per l’impresa
agricola. L’attuale regolamentazione della gestione faunistica venatoria non va. Deve essere modificata radicalmente.
Gli ungulati nobili, specialmente il cervo, sono considerati dai cacciatori i
migliori d’Europa e richiamano molti di
loro disposti a compensarne il valore.
Questi introiti sono già una cospicua realtà destinata ad aumentare. Risorsa
però non gestita dai montanari e non utilizzata in montagna. Le risorse della
montagna debbono essere reinvestite in montagna. La burocrazia poi è un’altra
palla al piede che comunque non appesantisce solo l’agricoltura”.
Sto parlando con un operatore che la diagnosi la
conosce molto bene. Avete valutato quale è la cura ?
“Diventa indispensabile valorizzare i prodotti
tipici di nicchia: marroni, ciliegie, patate, piccoli frutti di bosco, piccola
zootecnia come capre e pecore , con punti organizzativi di trasformazione
associata che esalti qualità e salubrità del prodotto montano. Incrementare inoltre
la formazione delle filiere che consentano agli operatori locali di essere
protagonisti dalla coltivazione del
prodotto base alla commercializzazione, tramite accordi con il settore commerciale e
turistico locali. In questo campo sono un punto d’eccellenza i numerosi agriturismi
già presenti. Si sta concludendo l’iter
per la formazione del consorzio ‘carni dell’Appennino bolognese’ tra allevatori
e macellai locali che metterà a disposizione dei consumatori la carne di prima
qualità che la montagna garantisce. Un esempio da seguire, l’eccellenza
rappresentata dalla realtà operativa degli allevatori associati nei caseifici
che producono un parmigiano reggiano di grande qualità ma che non ha ancora le
distinzione che meriterebbe e che è necessario per distinguerlo dal prodotto di
pianura”.
Vuole aggiungere qualcos’altro?
“ Mi preme fare un altro esempio emblematico di ciò
che sta succedendo e che si deve superare. C’è in montagna un’altra importante
risorsa quella della coltivazione del bosco. Norme oltremodo vincolanti, che
potevano avere una ragione 30 anni fa quando si tagliava in modo
indiscriminato, oggi si stanno rivelando dannose, poiché impediscono di
operare. Faccio un esempio, il castagno dopo 24 anni dall’ultimo taglio, non può
più essere rinnovato se non con l’avvio ad alto fusto. Ma tale operazione lo porta
diritto all’essicazione e alla morte. E’
necessario quindi rivedere e consentire di operare al fine di conservare il
bosco e raccogliere il suo frutto.”
RispondiEliminaSarà una gara dura voler risolvere tutto in una volta lo scempio che è stato fatto dai politici nazionali, ed amministratori locali, con i vari delegati, per un ventennio, senza porvi mai un rimedio. Dovete portare pazienza, roma non è stata costruita in una notte sola e fare pulizia se si vorrà farla, ci vorrà tempo e pazienza.