lunedì 7 agosto 2023

In calo la raccolta di pomodoro in Italia, allarme per l’incremento di import dalla Cina

Il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini:  “L’Italia scivola al terzo posto come produttore mondiale scalzata dalla Cina che fa concorrenza sleale violando diritti umani e dei lavoratori”


Parte la raccolta del pomodoro da salsa con l’Italia che a causa degli effetti dei cambiamenti climatici, fra grandinate, nubifragi, alluvioni e ondate di calore, rischia di produrre ancora meno dei 5,6 miliardi di chili previsti per il 2023, mentre alle frontiere nazionali si assiste al balzo del +50% delle importazioni di concentrato di pomodoro cinese che costa la metà di quello tricolore grazie allo sfruttamento dei prigionieri politici e della minoranza musulmana degli Uiguri nello Xinjiang.

E’ quanto denunciano Coldiretti e Filiera Italia sulla base dei dati del World Processing Tomato Council in occasione dell’avvio della raccolta in Italia a Foggia dove si coltiva quasi 1/5 (19%) dell’intero raccolto nazionale. Uno scenario in cui la Cina con 7,3 miliardi di chili nel 2023 sorpassa l’Italia nella classifica mondiale dei produttori di pomodoro da industria

Il pomodoro Made in Italy rappresenta un ingrediente fondamentale della dieta Mediterranea e della vera cucina italiana candidata all’iscrizione nella Lista rappresentativa dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità dell’Unesco. In Italia sono circa 70mila gli ettari coltivati a pomodoro da salsa, con la Puglia che è il principale polo della salsa Made in Italy nel Mezzogiorno con quasi 18mila ettari concentrati per l’84% proprio a Foggia, mentre l’Emilia Romagna è l’hub dell’oro rosso al Nord con 26mila ettari, oltre la metà fra Piacenza e Parma. A livello nazionale la filiera del pomodoro impegna complessivamente circa 7.000 imprese agricole, oltre 100 imprese di trasformazione e occupa 10.000 addetti, per un fatturato totale che lo scorso anno ha raggiunto i 4,4 miliardi di euro.

Ai ritardi registrati in campagna nel trapianto delle piantine di pomodoro a causa del clima pazzo si aggiunge l’aumento dei prodotti energetici e delle materie prime che si riflette sui costi di produzione del pomodoro superiori del 30% rispetto alle medie storiche, anche per il caro carburanti e il gap delle infrastrutture logistiche di trasporto. Il tutto mentre il pomodoro agli agricoltori viene pagato solo fra i 15 e i 17 centesimi al chilo. Il risultato è che, ad esempio, per una bottiglia di passata da 700 ml in vendita mediamente a 1,6 euro solo il 9,4% riguarda il valore riconosciuto al pomodoro in campo, mentre il 90,6% del prezzo è il margine della distribuzione commerciale, i costi di produzione industriali, il costo della bottiglia, dei trasporti, il tappo, l’etichetta e la pubblicità.

In questo scenario l’Italia scivola al terzo posto come produttore mondiale scalzata dalla Cina che fa concorrenza sleale violando diritti umani e dei lavoratori tanto che il presidente di Coldiretti Ettore Prandini e l’amministratore delegato di Filiera Italia Luigi Scordamaglia hanno scritto al ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida per denunciare che “l’aumento della produzione di pomodoro da industria cinese e la differenza di prezzo tra il concentrato di produzione orientale e italiana hanno determinato la ripresa di fenomeni fraudolenti di difficile individuazione data l’alta diluizione a cui il prodotto è sottoposto per l’ottenimento dei diversi derivati del pomodoro”.

“Inoltre – scrivono Prandini e Scordamaglia – il pomodoro cinese è coltivato per l’80% nella regione dello Xinjiang dove il governo cinese pratica da tempo politiche di repressione e genocidio della popolazione locale degli Uiguri con sterilizzazione di massa, campi di concentramento, schiavitù e lavori forzati nei campi agricoli. Una violazione dei diritti umani confermata nei mesi scorsi anche dall’Onu e dallo stesso Parlamento europeo”.

Tale situazione oltre a generare concorrenza sleale rispetto all’intera filiera del pomodoro da industria italiana ed europea, denota una questione etica, umanitaria e di giustizia sociale che necessita della dovuta attenzione. “Il concentrato di pomodoro cinese rappresenta un altro esempio delle produzioni importate e ottenute dalla violazione dei diritti umani”. Per questo, seguendo l’esempio degli Stati Uniti, Prandini e Scordamaglia chiedono che l’Italia “si faccia portavoce presso la Commissione europea della richiesta di divieto assoluto di importazione di concentrato di pomodoro cinese, soprattutto se proveniente dalla regione dello Xinjiang”

Gli Usa, seguiti da Regno Unito e Canada, hanno già approvato due norme che vanno nella direzione di bloccare le importazioni di concentrato di pomodoro dalla Cina. La prima è la legge volta a proteggere la minoranza degli Uiguri dal lavoro coatto (Uyghur Forced Labor Protection Act del 2022), mentre la seconda è il “Withhold Release Order” del 2021 che stabilisce che importazioni di alcuni prodotti come cotone e pomodoro provenienti dalla regione dello Xinjiang, dove vengono violati i diritti umani e si ricorre allo sfruttamento dei lavori forzati, devono essere trattenute nei porti di fatto realizzando un blocco per quelle importazioni.

Mentre in Europa c’è chi va in direzione opposta, come l’Olanda che ha chiesto alla Commissione UE la concessione di un contingente tariffario per permettere l’importazione di concentrato di pomodoro dalla Cina in esenzione di dazio. Si tratterebbe di un contingente di superiore alle ventimila tonnellate all’anno di concentrato di pomodoro, perché secondo l’Olanda la produzione UE non sarebbe sufficiente a soddisfare la domanda. Per dare il proprio via libera, la Commissione UE deve infatti ravvisare la sussistenza di due condizioni la merce oggetto della richiesta non è prodotta nell’Unione Europea in quantità sufficiente e, seconda condizione, deve essere destinata ad una ulteriore trasformazione.

Coldiretti e Filiera Italia hanno preso posizione contro la richiesta olandese, non essendoci carenza di produzione di pomodoro da industria nell’Ue tale da giustificare l’apertura di un contingente a dazio zero. Bisogna poi da considerare che il prezzo del prodotto di importazione, anche se sottoposto a dazio, è meno della metà di quello europeo. Anche chi fino ad oggi non aveva acquistato semilavorati del pomodoro dalla Cina viene tentato da prezzi bassissimi e dalla mancanza di un obbligo di etichettatura d’origine obbligatoria sui derivati del pomodoro utilizzato nell’UE, alimentando le distorsioni sul mercato.

Intanto l’Italia è all’avanguardia in Europa grazie al pressing della Coldiretti che ha fatto scattare anche l’obbligo di indicare in etichetta l’origine per pelati, polpe, concentrato e degli altri derivati del pomodoro grazie alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale 47 del 26 febbraio 2018, del decreto interministeriale per l’origine obbligatoria sui prodotti come conserve e salse, oltre al concentrato e ai sughi, che siano composti almeno per il 50% da derivati del pomodoro.

Nel carrello della spesa degli italiani In Italia, le tipologie di conserve di pomodoro più acquistate nella fase al dettaglio sono le passate e le polpe che concentrano circa i tre quarti dei quantitativi e il 54% della spesa complessiva, spiega Coldiretti su dati Ismea nel 2022. A seguire, tra i prodotti più venduti si piazzano i sughi pronti (12% dei volumi e circa il 30% della spesa) e i pomodori pelati (10% degli acquisti e 8% della spesa). Completano il paniere le conserve di pomodorini, il concentrato di pomodoro e i sughi freschi. Il consumo si attesta su una media di 35 chili a famiglia all’anno.

 

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