I selvatici di grossa stazza si sono riappropriati da tempo dell’Appennino e il loro numero è tale da essere costretti alla transumanza non in alta montagna ma in pianura. Da tempo hanno infatti scoperto l’accoglienza dei centri abitati e non stupisce più l’imbattersi in caprioli o daini nei viali o nei parchi cittadini.
E’ recente la notizia che persino un lupo, più incuriosito che intimorito, abbia varcato la cintura abitata della città e si sia concesso una bel fuori programma fra le vie storiche del centro cittadino.
A creare preoccupazione però la presenza impattante dei cinghiali che costringe gli agricoltori a convivere con diffuse e voraci mandrie il cui grufolare alla ricerca del cibo lascia tracce profonde sulle coltivazioni con la conseguente diminuzione della quantità e qualità del prodotto.
Confagricoltura ha poi messo in rilievo come non vengano raggiunti gli obiettivi dei piani di controllo, la cui funzione è quella di indicare quale numero di capi di ogni specie di ungulati annualmente deve essere prelevato al fine di contenerne il numero a quello che non crea danni rilevanti all’agricoltura. Ciò genera uno squilibrio impattante. Indirettamente il dito è puntato verso i cacciatori e l’accusa è quella di non abbattere capi a sufficienza e lasciarne troppi per la stagione successiva.
Abbiamo incontrato il presidente dell’Ambito Territoriale di Caccia (ATC) BO3, Lorenzo Benedetti ( nella foto) per un confronto sull’accusa: “Dare la responsabilità esclusivamente ai cacciatori è strumentale e infondato” esordisce il presidente. “Ognuno scarica la responsabilità su altri. La caccia di selezione al cervo e al capriolo raggiunge ottime percentuali di successo. Perché non dovrebbe essere lo stesso per il cinghiale? La verità è che ci sono difficoltà oggettive. Mentre per gli altri ungulati le quote di prelievo sono calcolate in base a censimenti e successive valutazioni faunistiche, per il cinghiale i censimenti non sono fattibili e le quote assegnate alle squadre sono calcolate proporzionalmente ai danni: se questi sono aumentati a confronto con quelli dell’anno precedente si incrementa la quantità di capi da prelevare. Ma è tutto fittizio, privo di ogni attendibilità. Il cinghiale è un animale mobilissimo, questo rende impossibile quantificarne la presenza. E’ inoltre molto prolifico: la femmina ha due cicli riproduttivi l’anno e si registra fino a otto nascite per volta. Quindi in sostanza si naviga a vista su stime non realistiche e non significative quanto a capacità di prelevare e soglie di presenza di animali compatibili col territorio . Poi l'organizzazione e il funzionamento delle squadre di caccia comporta dei costi: il mantenimento dei cani, fuoristrada col verricello, locali attrezzati per il trattamento delle carcasse, gestione dei rifiuti sanitari e altre voci la cui compensazione dipende anche dal successo della stagione venatoria. L'ATC, come ente di diritto privato con funzioni pubbliche per la gestione faunistica e venatoria, si finanzia esclusivamente con quote associative dei cacciatori. Queste risorse servono a sostenere gli oneri a nostro carico tra cui i pagamenti dei danni da fauna selvatica, e le recinzioni delle coltivazioni di pregio come vigne e castagneti.”
" La quantità e la diffusione dei suidi selvatici trova poi un altro grosso fattore di favore per la presenza nel nostro territorio di parchi regionali e di aziende faunistico-venatorie che rappresentano un serbatoio spesso non adeguatamente controllato, comunque fuori dalle competenze dei cacciatori ATC. Tutte queste ampie aree diventano zona di rifugio per gli ungulati nei periodi di caccia,” aggiunge Gianfranco Nanni ( nella foto), a capo del distretto n.6.
“La proliferazione incontrollata dei cinghiali è soprattutto una delle tante conseguenze del cambiamento dell'ambiente rurale, specie in Appennino. I cacciatori fanno quanto è possibile e il loro contributo è irrinunciabile ”, sostiene il presidente. “Non va dimenticato che sono volontari, che la loro età media si aggira fra i 60 -70 anni. E' anche una categoria malvista e in crescente diminuzione per lo scarsissimo ricambio generazionale. Tutti i distretti ATC BO3 hanno indici di densità venatoria molto al di sotto deò consentito e le nostre squadre hanno componenti che vengono dal Veneto o dalla Toscana e questo aumenta i costi”.
Ma allora come possono essere accolte le preoccupazioni degli agricoltori ?
“ La legge consente la possibilità di autodifesa del singolo agricoltore, anche col supporto di coadiutori, ” precisa Nanni. “ Costoro però debbono essere abilitati all’esercizio venatorio e prima di agire debbono darne precisa informazione a chi è proposto a questo compito. La cattura e l'abbattimento di cinghiali tutto l'anno e in prossimità dei raccolti sta fornendo un contributo significativo al controllo della specie sebbene, ad un anno di applicazione necessiti di qualche perfezionamento".
Gli ungulati sono stati introdotti intenzionalmente per danneggiare il settore agricolo (particolarmente in montagna), se ne parla da anni ma "I CAPI" fanno finta di cadere dalle nuvole come in questo articolo. UNICA SOLUZIONE PER IL RITORNO DELL'AGRICOLTURA IN MONTAGNA E' licenza di abbattimento libero per gli agricoltori, senza vincoli di licenze o tasse varie, altrimenti tenetevi i cinghiali in città.
RispondiEliminaPropongo l'uso in economia circolare: abbattimento e porchettata al campo sportivo.
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