Aumenta la domanda estera di vino sfuso, ma l’incubo quarta ondata rallenta gli scambi commerciali.
di
Barbara Bertuzzi
Confagricoltura
Lenta risalita delle aziende del vino “non presenti” sugli scaffali
dei supermercati, all’incirca ventimila in
Emilia-Romagna, con una produzione
annua che non va oltre le 200 mila bottiglie per lo più commercializzate nei ristoranti, wine bar ed
enoteche (canale Horeca). La previsione di Confagricoltura Emilia Romagna segna un aumento stimato delle
vendite intorno al 35-40% rispetto
al terzo trimestre dello scorso anno, che è stato disastroso per il canale
Horeca.
«Non dobbiamo
abbassare la guardia ma l’incertezza
delle prospettive rischia di minare ancora una volta la ripresa -
avverte il presidente regionale di Confagricoltura, Marcello Bonvicini -.
Bisogna scongiurare chiusure
generalizzate in vista del Natale, sarebbe un disastro per le aziende
legate a doppio filo a chi somministra pasti e bevande. Serve una filiera unita ed
efficace, dalla vigna al ristorante, tesa a rafforzare la catena del valore».
Nel complesso,
infatti, il 2020 ha visto andare bene solo il consumo di vini e spumanti tra le
mura di casa (+ 8% su base annua, fonte Ismea-Nielsen), in gran parte
acquistati al banco della grande distribuzione.
«Stiamo
vivendo un momento che segna la ripresa delle vendite nel canale Horeca in
particolare la ristorazione – dice con cauto ottimismo Mirco Gianaroli, presidente della
sezione viticola di Confagricoltura Emilia Romagna a tutela delle tante realtà
del territorio che prediligono la qualità alla quantità e che non possono
contare sulla distribuzione nella GDO -. Tuttavia, i numeri pre-pandemia sono
ancora lontani. Il Covid ha cambiato gli stili di vita e i comportamenti di
acquisto delle famiglie: il cliente dello spaccio aziendale, durante il
lockdown si è abituato ad acquistare la singola bottiglia al supermercato
magari a un prezzo scontato. Adesso, però, i rincari sulla spesa degli italiani
si ripercuotono sul mercato del vino già provato, penalizzando i prodotti di
fascia medio-alta». Bisogna riavvicinare
il cliente alle cantine del territorio, premiare l’alto valore aggiunto generato dagli imprenditori vitivinicoli.
Per aiutare queste aziende a rilanciare la propria attività è necessario
«cogliere le tendenze dei consumatori nel post emergenza; la loro voglia di
uscire, partecipare a fiere, eventi, singole degustazioni aziendali». D'altro
canto, sottolinea, i produttori sono
alla ricerca di quel contatto perso a causa delle restrizioni sanitarie,
pertanto chiedono alle istituzioni
di aprire le porte a nuove fiere, congressi, B2B e B2C, nel rispetto delle
norme anti-Covid. Per dare anche un impulso alle esportazioni.
Coi tempi che corrono non sorridono nemmeno le aziende del vino che
utilizzano principalmente i canali di vendita della grande distribuzione. Di fatto la GDO non
riconosce all’imprenditore la crescita esponenziale dei costi di produzione
avvenuta negli ultimi mesi, mantenendo bloccati i prezzi all’origine. «In
questo modo l’onere ricade esclusivamente sull’azienda vitivinicola che ci
rimette in media dal 10 al 15%. Una situazione insostenibile, destinata ad
aggravarsi soprattutto per l’effetto a valanga della crisi energetica»,
conclude Gianaroli.
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