Studio CREA ha dimostrato per la prima volta la possibilità di utilizzare le colonie di api nel monitoraggio di patogeni umani aerodispersi.
Le api, ormai
sentinelle riconosciute della salute ambientale, sono risultate in grado di
intercettare il virus SARS-COV-2, agente della COVID-19, durante la loro
attività di volo. Questo è quanto emerso dallo studio pubblicato sulla rivista
“Science of the Total Environment” e realizzato nell’ambito del progetto
BeeNet, coordinato da CREA Agricoltura e Ambiente e finanziato dal Mipaaf.
Il contesto di
partenza Da tempo, la capacità
di esplorazione ambientale delle colonie di api mellifere supporta la
rilevazione di contaminanti e, più in generale, il monitoraggio della salute
dell’ecosistema. In qualche caso le api hanno dimostrato anche efficacia
nell’individuazione di fitopatogeni.
Studi pubblicati nelle
fasi di pandemia da COVID-19 hanno identificato concentrazioni misurabili del
virus SARS-COV-2 nelle polveri sottili aerodisperse, ottenute da
campionatori automatici.
Le azioni condotte Osservando localmente la coincidenza fra le elevate
concentrazioni di polveri sottili nell’aria e circolazione virale durante il
terzo picco pandemico nazionale, si è concretizzata l’idea di utilizzare le api
anche per il monitoraggio di patogeni umani aerodispersi.
La prova è stata
condotta in una giornata soleggiata di fine inverno, nell’apiario della sede di
Bologna del Centro di Ricerca Agricoltura e Ambiente del CREA. Sono stati
realizzati dispositivi atti alla cattura di particelle trasportate dalle api e
mantenuti davanti all’ingresso di volo di dieci alveari per tutta l’attività
giornaliera delle api bottinatrici. Quindi, le colonie sono state aperte per
prelevare campioni dalla superficie dei favi e di “pane d’api”, cioè le masse
di polline compresso e immagazzinato nelle celle.
I risultati Tutti i campioni prelevati all’ingresso degli alveari
sono risultati positivi per SARS-COV-2, indicando la capacità delle api bottinatrici di intercettare il virus
durante la loro attività di volo.
Ogni alveare possiede
migliaia di queste api operaie con il compito di esplorare l’ambiente alla
ricerca di risorse da trasportare al nido. In una giornata di attività, il loro
insieme può entrare in contatto con centinaia di metri cubi d’aria, trattenendo
particelle aerodisperse grazie al corpo densamente ricoperto di peli.
Al contrario, nessuno
dei campioni interni ha mostrato presenza dell’agente infettivo di COVID-19,
elemento che esclude le api stesse e i loro prodotti da un’eventuale
trasmissione di SARS-COV-2. I dati rilevati, quindi, non segnalano rischi per
gli apicoltori in seguito alla manipolazione di api, favi e altri elementi
costitutivi del nido, né per i consumatori dei prodotti dell’alveare, come
miele e polline.
“Questo studio
sperimentale ha dimostrato per la prima volta la possibilità di utilizzare le
colonie di api nel monitoraggio di patogeni umani aerodispersi. I risultati
incoraggiano a proseguire questa ricerca, che può essere rilevante per la
salute pubblica, contribuendo a migliorare la nostra capacità di prevedere
ondate epidemiche anche meno gravi di quella di COVID-19, come quelle della
comune influenza stagionale – spiega Antonio Nanetti,
ricercatore CREA Agricoltura e Ambiente e coordinatore dello studio – Occorre
però individuare i limiti di sensibilità di questo metodo nei confronti di vari
patogeni aerodispersi, anche in rapporto alle variabili ambientali”.
La proposta Le evidenze ottenute suggeriscono la possibilità di costituire reti
di monitoraggio basate sulle api e finalizzate alla sorveglianza
epidemiologica. Il loro utilizzo, infatti, a differenza dei campionatori
automatici impiegati nella rilevazione delle polveri sottili, è flessibile
poiché non richiede infrastrutture specifiche e può essere facilmente
replicato, adattandolo alle diverse caratteristiche del territorio.
Link all’articolo originale: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0048969721054048?via%3Dihub
Sollecitato da Dubbio
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