Se
ci intestardiamo a far ripartire l’economia potrebbe essere la
catastrofe. Solo congelando il più possibile il contagio potremmo
uscire con una semplice recessione
Dubbio
da ItaliaOggi
Se
ci fermiamo per un paio di mesi e ci occupiamo solo di salvare la
pelle, forse potremmo uscirne con una semplice recessione, più o
meno come nel 2008. Se invece ci intestardiamo a far ripartire
l'economia subito, e questo aiuterebbe la circolazione del virus,
potrebbe essere la catastrofe». Luca Ricolfi, sociologo, ordinario
di Analisi dei dati all'Università di Torino, ha letto le
informazioni disponibili sul Coronavirus - contagio, ammalati, morti
- utilizzando le sue competenze statistiche. I risultati delle
simulazioni fatte per la Fondazione David Hume
(www.fondazionehume.it), di cui è presidente, sono choccanti: con
gli attuali tassi di propagazione, se il virus non verrà rallentato
drasticamente, potrebbero esserci centinaia di migliaia di decessi
in pochi mesi. Decisiva una politica rigorosa di contenimento, in
tal senso «le attività dovrebbero essere poste sistematicamente in
folle, o meglio al regime di giri minimo necessario per la
sopravvivenza fisica della popolazione». I 3,6 miliardi di
sforamento del deficit che la Ue potrebbe autorizzarci? «Andrebbero
utilizzati non per dare aiuti a pioggia alle imprese ma a rafforzare
il Servizio sanitario nazionale con un'iniezione straordinaria di
personale, attrezzature, posti letto. Altrimenti si rischia il
collasso».
Domanda.
Professore, lei stima che, con gli attuali trend di contagio e di
morte, si possa arrivare anche ad avere 2-300 mila decessi. Una
cifra terribile. Come arriva a questa conclusione? Qual è il metodo
di calcolo?
Risposta.
Il calcolo si basa su due parametri, uno (relativamente) noto e
l'altro ipotetico. Il parametro noto è che, su 100 infetti, ne
muoiono 2 o 3. Questo dato, da solo, ci dice che, ove avessimo 8
milioni di infetti (come in una comune influenza), il numero di
morti sarebbe compreso fra 160 e 240 mila. Il parametro ipotetico è
invece il tasso di propagazione del virus, che dipende da tanti
fattori e al momento non è noto, ma a mio parere è nettamente
superiore a 2 o a 2.5 contagiati per ogni infettato. È qui che
subentrano i modelli matematici di simulazione, che partono da
ipotesi sul tasso di propagazione e controllano se le traiettorie
che ne risultano sono compatibili con i dati noti, ossia con le
serie storiche dei contagi accertati e, soprattutto, delle morti
connesse al coronavirus. Queste ultime sono le più affidabili,
perché dipendono solo dalla diffusione effettiva del contagio, e
non dalle politiche sanitarie e diagnostiche messe in atto, come
accade invece con le statistiche sul numero di positivi al test.
D.
E cosa dicono le sue simulazioni?
R.
Ebbene, le simulazioni mostrano che, se si vogliono generare serie
storiche compatibili con la dinamica di quelle osservate, si è
costretti a ipotizzare un tasso di propagazione più alto di 2.5.
Qualche esperto, come il prof. Andrea Crisanti, virologo
dell'Università di Padova, è arrivato a ipotizzare un tasso di 4 o
5 contagiati per infettato, che nelle simulazioni risulta più
compatibile con i dati storici di un tasso di 2 o di 2.5. Ma il
dramma è che, se il tasso di propagazione è davvero 4 o 5, e non
si interviene con politiche di contenimento drastiche, il numero
degli infettati non ci metterà molto ad arrivare a qualche milione,
come accade con l'influenza stagionale.
D.
Il calcolo statistico non sconta variabili, nella fattispecie
potrebbero essere il caldo della primavera, l'indebolimento del
virus stesso o l'efficacia delle misure prese dal governo. Che
margini di errore hanno di solito analisi di questo tipo?
R.
Le analisi basate su modelli matematici possono solo formulare
ipotesi su eventuali meccanismi di attenuazione (o di
amplificazione), perché la capacità di propagazione del virus non
è un dato assoluto, o intrinseco, ma dipende da numerose condizioni
al contorno, perlopiù sconosciute nelle loro dimensioni e nel loro
impatto. Cionondimeno, la mera osservazione della dinamica attuale
basta a suggerire che, per frenare il virus, occorrerebbero fattori
di grandissimo impatto, come una elevata sensibilità al caldo, o
una tendenza all'indebolimento nel ciclo delle mutazioni. Fra i
fattori potenzialmente frenanti, però, ve n'è uno fondamentale,
che nei miei modelli ho chiamato qt.
D.
Cosa indica qt?
R.
È la quota di malati «ritirati» dalla scena pubblica al tempo t e
collocati in quarantena, in quanto precocemente diagnosticati come
positivi al coronavirus. Ebbene, poiché (assieme alle norme
comportamentali) l'incremento di q mediante una campagna massiccia
di tamponi è l'unica arma che abbiamo, considero irresponsabile
(per non dire altro) il comportamento del premier Giuseppe Conte,
che qualche giorno fa ha esortato a fare meno tamponi.
Se
anziché straparlare di numero eccessivo di tamponi il governo
avesse seguito il saggio consiglio del virologo Roberto Burioni di
moltiplicarli, prevedendoli per chiunque abbia anche solo 37 gradi e
mezzo di febbre, oggi la progressione del contagio sarebbe
sensibilmente più lenta, e avremmo qualche speranza di fermarlo.
D.
Tra Nord e Sud c'è qualche differenza? Ad oggi ci sono meno
contagi.
R.
Penso che l'esplosione dei contagi al Nord sia dovuta a due fattori
distinti. Il primo è il caso, ossia che il Nord abbia avuto un
paziente super-spreader (ultra-capace di infettare), che da solo ha
dato luogo a una catena di contagi molto vasta, favorita dai
protocolli seguiti nell'ospedale di Codogno, che per quel che ne so
erano quelli vigenti, anche se inadeguati.
Il
secondo, decisivo, fattore è che sono tutte del Nord le regioni più
produttive e internazionalizzate del Paese, ossia Lombardia, Veneto
ed Emilia Romagna. Io ho fatto calcoli separati per la propagazione
al Nord e al Sud e, allo stato attuale dell'informazione disponibile
mi risulta che la velocità di propagazione sia analoga.
D.
L'Italia da zona franca è diventato focolaio europeo. Ma c'è chi
sostiene che la differenza sia proprio nel numero (in eccesso) di
tamponi fatti in Italia.
R.
La considero una sciocchezza. In Italia il processo è partito un
po' prima, per ragioni casuali, ma temo che gli altri paesi vedranno
il medesimo film, a meno che qualche paese si decida a percorrere la
strada-Burioni anziché il precipizio-Conte. Lì si vedrà quali
paesi hanno una classe dirigente all'altezza.
D.
A fronte di questa situazione, le autorità stanno via via
riavviando le attività. Che segnali arrivano alla popolazione?
R.
Errati. Le attività dovrebbero essere poste sistematicamente in
folle, o meglio al regime di giri minimo necessario per la
sopravvivenza fisica della popolazione.
Io
però distinguo nettamente fra l'intervento assistenziale e
riparativo dello Stato (che è opportuno) e il tentativo di riaprire
le attività, tornando alla vita normale (che produrrebbe effetti
catastrofici). Quest'ultima cosa, il ritorno alla normalità, non
possiamo ancora assolutamente permettercela.
D.
Senza risorse massicce, il Servizio sanitario nazionale rischia di
non farcela.
R.
Rischia il collasso. A mio parere è praticamente certo che, nel
giro di poche settimane, si comincerà a morire perché non ci sono
abbastanza posti nei reparti di terapia intensiva. È il guaio delle
democrazie, che non possono costruire un ospedale in dieci giorni,
né rinchiudere qualche milione di abitanti in una zona rossa, né
proclamare il coprifuoco.
D.
Lei sta seguendo il flusso di informazioni dei media? Come lo
giudica?
R.
Ne sono disgustato. Tutto continua con i consueti teatrini, in cui i
soliti personaggi si scambiano opinioni (e qualche volta insulti) su
cose più grandi di loro. È come la scena finale del Titanic, con
la gente che balla mentre la nave affonda.
D.
Che stima è possibile fare per quanto riguarda gli effetti sul pil?
R.
Stime vere e proprie sono impossibili. Se proprio devo azzardare,
però, di stime ne farei non una ma due. Se ci fermiamo per un paio
di mesi e ci occupiamo solo di salvare la pelle, forse potremmo
uscirne con una semplice recessione, più o meno come nel 2008. Se
invece ci intestardiamo a far ripartire l'economia subito, e questo
– come è elementare prevedere – anziché frenare il virus aiuta
la sua circolazione, potrebbe essere la catastrofe. Che a quel punto
non si misura sui punti di pil perduti ma, come in guerra, sul
numero di morti.
D.
Il governo italiano si accinge a incassare uno sforamento dei
vincoli Ue pari a 3,6 miliardi di euro di maggiori risorse. Che
effetto avrà?
R.
Sono sempre stato ostile agli sforamenti del deficit, ma questo è
uno dei pochi casi in cui lo troverei sacrosanto. Il problema, però,
è come usarli i 3.6 milioni di euro. Io prevedo che il grosso sarà
usato per soddisfare le innumerevoli richieste di risarcimento danni
che pioveranno sul tavolo del governo, e ben poco resterà per
l'unica vera emergenza: rafforzare il servizio sanitario nazionale
con un'iniezione straordinaria di personale, attrezzature, posti
letto.
Alessandra Ricciardi
Balle, balle,balle!
RispondiEliminaSolo i consumi di carburanti sono scesi del 20-30% nelle ultime due settimane, con punte del 50% in Lombardia. Giusto per avere un'idea dello choc economico.
RispondiEliminaServirà una finanziaria da almeno 40 miliardi e comunque la U€ dirà no a tutto.
Ma questo è diventato un blog pidino?
Perché? Deve essere di destra? O piuttosto fare informazione possibilmente corretta e basta?
EliminaAll'anonimo delle 10,32 dico di non dire sciocchezze, la verità è la verità e non quello che sarebbe bello se fosse veramente così.
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