di Marco Leoni
PLATONE
: il Menone e la conoscenza come reminiscenza
Riporto
sempre una lezione di Matteo Saudino, fantastico prof. di
filosofia.
Oggi
affrontiamo il dialogo della maturità di Platone, il dialogo in cui
le teorie presentate dal filosofo di Atene sono completamente il
prodotto della sua ricerca, della sua filosofia, nel senso che con
la maturità Platone prende le distanze da Socrate e non si limita a
presentarne la vita, le teorie ma elabora una nuova progettualità,
una nuova architettura filosofica. Ovviamente, l’ho già detto, il
protagonista dei dialoghi sarà sempre Socrate e questo è un atto
d’amore, questo è l'omaggio che Platone fa al suo maestro.
La
teoria platonica nei dialoghi prende forma per bocca di Socrate e
all’interno del dialogo, le idee di Platone, le teorie di Platone
vengono esposte sempre da Socrate.
Considerate
però che il dialogo è
sempre una dinamica
di
arricchimento di fertilità:
tutti i protagonisti dialogando contribuiranno al raggiungimento di
una verità che poi sarà parziale, perché la verità, per Socrate e
Platone, è comunque una ricerca parziale. Non vuol dire che è
relativa: è una verità da cui si partirà per andare ancora alla
ricerca di un approfondimento e di una verità più stabile o solida
perché Platone è un dichiarato antirelativista.
Vediamo
insieme questo dialogo.
Il
dialogo si svolge a casa di Menone che è il protagonista con Socrate
ed Anito. Menone è
un aristocratico ateniese che ha invitato Socrate a casa per la
piacevolezza di avere un ospite famoso, prestigioso come Socrate con
cui poter dialogare e fare filosofia: è il
piacere del dialogo.
In
questa serata a Menone e Socrate si aggiungerà Anito quell’Anito
già incontrato nell’Apologia di Socrate, uno degli accusatori di
Socrate, del maestro di Platone a cui dunque Platone offre comunque
uno spazio all’interno di un dialogo perché servirà,
nell’architettura dialogica di Platone, per poter giungere ad una
teoria, ad una verità antitetica a quella sostenuta da Anito.
La
serata ruota intorno ad una discussione proposta dallo stesso padrone
di casa, cioè
se la virtù
sia insegnabile, o
se sia una pratica.
Platone
è un pedagogo. Platone aveva già pensato alla centralità del
discente 2400 anni fa:
insegnare non vuol dire calare dall’alto, tema già affrontato con
Socrate, ma l'apprendimento avviene attraverso il dialogo e la
pratica in maniera personale.
Molti
pedagoghi attuali che pensano di aver scoperto l’acqua calda, in
realtà sono debitori di uno dei grandi pedagoghi dell’antichità,
Platone appunto.
Ebbene
a casa di Menone si svolge questo dialogo: punto di partenza è la
domanda sulla virtù e Socrate per rispondere comincia a dire che
tutti gli uomini in realtà quando vogliono conoscere, vogliono
conoscere il bene, sono attratti dal bene, si muovono verso il
bene. Anche quelli che compiono il male o che conoscono in maniera
sbagliata in realtà lo fanno convinti di agire bene o comunque di
conoscere in maniera corretta.
Ma
allora, questo presuppone che ci sia questo bene verso cui le persone
tendono, anche se nessuno lo ha insegnato. Oppure il bene viene
insegnato, allora c’è qualcuno che lo insegna.
Se
c’è un tendere verso il bene e c'è una sorta di attrazione che
il bene esercita su di noi, esso parte dalla nostra interiorità. E
Socrate qua inizia a recuperare quella che è anche una vecchia
tradizione di conoscenza quella intesa come ricordo.
Platone quindi, per bocca di Socrate, sosterrà che la conoscenza sia
in realtà un ricordare sia Reminiscenza.
A
questo punto Socrate chiede a Menone di invitare al tavolo il suo
schiavo, per poter dimostrare che conoscere è ricordare.
Quando
lo schiavo giunge, Socrate comincia a fargli domande di geometria e
gli chiede di disegnare forme geometriche (un quadrato, poi come
suddividere il quadrato in tanti piccoli quadrati e ricostruire su
questi quadrati dei piccoli triangoli). Lo schiavo, che non aveva mai
avuto un insegnante di geometria e a scuola non era mai andato,
guidato da Socrate, giunge a dimostrare il teorema di Pitagora con lo
stupore di Menone e del sopraggiunto Anito.
Ma
come le conoscenze sono da insegnare, sono insegnabili anche le
virtù?
Platone
per bocca di Socrate dirà perché conoscere significa ricordare.
Significa
portare alla luce quanto la nostra anima ha già dentro di sé,
quanto la nostra anima ha conosciuto nell’aldilà, cioè nel mondo
delle Idee. La nostra anima, prima di incarnarsi nel nostro corpo, ha
conosciuto, ha visto come dice l’intellettuale il mondo delle idee
e ha conosciuto i valori del bene, del giusto, del bello. Ha
conosciuto le idee matematiche come la sfera, il quadrato,il
rettangolo il triangolo; ha conosciuto le idee delle cose comuni, dei
generi uomo, cavallo, albero e quest’anima deve semplicemente,
quando è nel corpo, ricordare quanto ha visto in precedenza.
Comunque
per ricordare quanto ha visto in precedenza va stimolata. Ecco il
platonismo socratismo: dentro di noi c’è il bene, bisogna portarlo
alla luce, dentro di noi c’è la conoscenza matematica e
geometrica, bisogna portarle alla luce.
L’insegnamento
non è come abbiamo già detto più volte riempire un vaso o un
sacco, lo studente non è il sacco in cui io verserò della farina
non è un vaso in cui verserò dell’acqua ma lo studente è
l’allievo è il discente è un soggetto da stimolare da risvegliare
da portare ad una ricerca autonoma.
Dunque
alla tesi di Anito, “ le virtù si insegnano”, tipiche dei
sofisti che le insegnavano anche a pagamento, Socrate e Platone
rispondono che le virtù non si insegnano, si apprendono
praticandole, stimolati e guidati da un maestro. Dunque Platone
ci vuole dire che alla base della conoscenza c’è la costruzione di
una mente, l’anima in grado di apprendere.
Uno
degli psicologi dell’apprendimento del 900, Morer, il cui testo “
LA TESTA BEN FATTA” è
diventato una sorta di testo di riferimento per chi vuole fare
l’insegnante, sostiene che fare l’insegnante è contribuire a
costruire una testa funzionante e non tanto dare i contenuti e
metterli dentro la testa. I contenuti sono funzionali anche al
costruire: ora, al di là di conoscere le teorie di Platone, stiamo
ragionando e la vostra testa si sta formando
perché oggi si sta confrontando sul tema della virtù e della
conoscenza, e confrontando tesi diverse, la testa comincia a
mettersi in moto, a ragionare a confrontare e magari a elaborare una
teoria.
A
Platone non
interessa il discorso delle regole: lui è un filosofo, lui è
interessato al bene e il bene non lo trasmetti con le regole ma lo
devi ritrovare dentro di te. Se hai interiorizzato un’idea di
rispetto, questa è
diventata una pratica di vita, è diventato un atteggiamento, una
modalità perché è stata interiorizzata.
E
Platone ci dice questo: la virtù non è insegnabile. Certi padri
virtuosi non hanno i figli virtuosi ma un padre virtuoso avrà pure
insegnato ai suoi figli a comportarsi bene, molti padri che conoscono
delle virtù etiche politiche o delle virtù matematiche e
ingegneristiche hanno figli che non possiedono le stesse virtù
conoscitive tecniche ingegneristiche virtù comportamentali etico
politiche, perché le virtù non si trasmettono nel sangue non si
trasmettono tramite una lezione se non ci sarà una appropriazione
profonda.
Allora
le virtù per Socrate sono una ricerca, sono figlie di una ricerca
personale che è sempre in divenire, che è anche precaria perché
può procedere in maniera lineare a volte e non lineare in altre ed è
frutto di una ricerca costante, una ricerca in divenire, costante e
personale.
Secondo
Socrate e Platone la virtù è figlia di una ricerca personale ma non
in un’ottica relativista: non rispettare la Legge è sbagliato per
Platone ma al rispetto della legge bisogna arrivarci attraverso la
ricerca personale interiore. Quando ho interiorizzato il
comportamento corretto, mi comporterò bene, se invece mi comporto
bene soltanto perché c’è una telecamera accesa, quando la
telecamera sarà spenta non lo farò più.
Dunque
la conoscenza è reminiscenza, è ricordare.
E
come avviene il ricordo? Se la conoscenza è ricordare, allora è
innata. Per Platone conosciamo il bene se abbiamo già conosciuto il
bene, noi conosciamo il bello se abbiamo già conosciuto il bello?
Sì, ma in parte. La conoscenza è già dentro di noi, nasciamo che
conosciamo già, abbiamo già dentro quello che possiamo conoscere ma
per arrivare a conoscere quello che è già innato in noi dobbiamo
fare esperienza.
Per
Platone conoscenza è uguale a reminiscenza cioè la conoscenza è
innata, il natismo,
ma che cos’è che ci porta a ricordare quello che in noi è
innato? L’esperienza.
Dunque
c’è anche una dimensione di empirismo: conoscere è empiricità,o
esperienza, facendo esperienza risalgo a quello che in me è innato.
Come Socrate chiama lo schiavo e lo schiavo disegna un quadrato,
disegnando il quadrato, si ricorda del quadrato che la sua anima ha
già conosciuto e così col triangolo col parallelismo degli angoli
retti, disegnando con un maestro che gli indica quello che deve fare,
lui empiricamente accede a quello che la sua anima già possiede: il
natismo.
L’anima
già possiede la conoscenza, empirismo. E la conoscenza va stimolata.
L’esempio
con cui chiudo è quello della bellezza. La bellezza è già dentro
di noi ma se io vivo in un mondo in cui guardo solo le cose brutte
faccio esperienza solo del brutto (che per Platone non esiste,
sarebbe il non bello), non arrivo a risvegliare la bellezza.
Se
io ogni giorno apro le finestre e vedo guerra, violenza, corpi
martoriati, fiori appassiti, come faccio a risvegliare il bello che
è in me? Non posso, perché ogni giorno gli occhi vedranno degrado
e violenza.
Platone
è antirelativista , lui vi sta dicendo che se un ragazzo nasce e
vive in un ambiente corrotto e brutto (non bello), difficilmente avrà
l’educazione a recuperare il bello che è dentro di sé e sarà
tendenzialmente portato a comportarsi in maniera brutta, violenta,
cattiva, malvagia perché non non è stimolato ad andare a
recuperare il bello che ha in sé.
Il
bello è contagioso,
se attorno vede un fiore, una forma colorata, armoniosa, questo porta
verso una sensazione di ricerca di bellezza: se ho visto un fiore
bello, ho visto un corpo bello, ho visto una bella persona che si
comporta bene, domani vorrò non solo un fiore bello ma due fiori
belli perché il bello risveglia il bello, il buono risveglia il
buono, il bene risveglia il bene. Questi valori sono in noi innati ma
se non c’è il mondo esterno che empiricamente ci stimola, se non
facciamo l’esperienza del bello, del giusto, del buono, non potremo
mai vivere una vita alla ricerca di questi valori perché questi
valori non li sappiamo distinguere, non sappiamo dove andarli a
cercare e di conseguenza non ce ne possiamo impossessare.
Dunque
l'inno di Platone è a fare della nostra vita una cosa bella.
La
nostra vita ha delle alternative fra essere bella, giusta e di verità
o essere ingannevole di falsità di mediocrità. La scelta sta
comunque in noi e il maestro, in questo caso il filosofo, il genitore
sono decisivi per poterci avvicinare alla bellezza, al giusto, al
vero; però non basta
l’incontro servirà anche la nostra volontà.
Desidero
farvi conoscere Matteo
Saudino il
fantastico, come più volte l'ho definito, prof. Di filosofia.
E’
certamente lui il responsabile del mio amore per la filosofia.
La
lettura dei grandi pensatori dell’antichità credetemi non è una
perdita di tempo, ma un importante arricchimento della nostra
persona.
La
filosofia ci stimola al ragionamento, alla riflessione e fa scattare
in noi il desiderio di conoscenza.
Ci apre la mente.
Inoltre
una lettura attenta ci fa comprendere come il loro pensiero sia di
una attualità incredibile ed è ancora in grado di aiutarci a
decodificare la complessità del mondo in cui viviamo.
Matteo Saudino |
Marco sono d'accordo con te sul fatto che la filosofia aiuta l'essere umano a ragionare sui problemi esistenziali che attanagliano la nostra vita se, come dici tu, li sappiamo decodificare. Ti ringrazio di avere stimolato queste letture e di aver portato alla mia conoscenza un ulteriore pensatore come questo filosofo che non conoscevo. Grazie
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