sabato 28 settembre 2019

Le due facce della tragica medaglia' Monte Sole '44'

Reder, boia di Marzabotto che ritrattò pentimento

Fu liberato nel 1985 dopo aver trascorso molti anni a Gaeta


Walter Reder

"Il soldato si distingue dagli assassini perché ha il senso del limite della propria azione, perché è cavaliere. La verità è questa: Reder, come altri suoi simili, appartiene a una casta militare senza scrupoli e senza morale". Piero Stellacci, il pm che nel 1951 sostenne l'accusa nel processo contro Walter Reder, il 'carnefice di Marzabotto', il 'boia' o il 'monco', soprannomi che gli ha cucito addosso la storia, chiese per lui la fucilazione alla schiena ma ottenne l'ergastolo.
Reder trascorse infatti quarant'anni di carcere a Gaeta, per aver comandato uno dei più feroci massacri nella storia della resistenza italiana durante la Seconda guerra mondiale. Fu liberato nel 1985 dal governo presieduto da Bettino Craxi che, con una decisione che scatenò polemiche e la rabbia dei familiari delle vittime delle stragi, fece trasportare in tutta fretta il detenuto in Austria, con un aereo militare. Al suo ritorno in patria Reder trovò l'allora ministro della Difesa Friedhelm Frischenschagler, che lo accolse cordialmente in aeroporto scatenando l'indignazione di tutto il mondo.
Nato nel 1915 a Freiwaldau, oggi nella Repubblica Ceca, Reder era un nazista della prima ora, ed entrò molto giovane nelle Ss, non ancora maggiorenne. Giunse nell'Italia occupata nel maggio 1944, con il grado di maggiore, dopo aver subito l'amputazione del braccio sinistro in Ucraina, e a 29 anni era al comando di un battaglione. Kesselring gli affidò il compito di proteggere la ritirata della Wehrmacht nella zona dell'Appennino, dove i partigiani incalzavano le forze tedesche in fuga. Cominciò così quella che sarebbe rimasta tristemente nota come la marcia della morte delle Ss di Reder: Marzabotto fu il massacro più atroce, ma non l'unico. Catturato a Salisburgo nel 1945 da soldati americani, l'ex Ss venne consegnato prima alle autorità militari inglesi, poi estradato in Italia. Riconosciuto colpevole di crimini di guerra, venne rinchiuso in carcere e dopo la sua morte avrebbe anche dovuto essere sepolto nel cimitero accanto al penitenziario. Ma non fu così. Nel 1980 il Tribunale militare di Bari gli concesse la libertà condizionale, disponendo però la sua detenzione cautelativa per ragioni di sicurezza per altri cinque anni.
Reder avrebbe dovuto lasciare il carcere nel 1985 restando comunque a disposizione della giustizia italiana. L'allora presidente austriaco, il socialdemocratico Bruno Kreisky, scrisse a Craxi chiedendo clemenza. La richiesta, suscitò subito accese polemiche.
Anche Reader spedì una lettera al sindaco di Marzabotto, Dante Cruicchi, ammettendo le sue colpe e dimostrandosi pentito, ma il paese si espresse, con un referendum, contro il perdono al criminale: 169 no e 6 sì. Come era già successo nel 1967. La politica, però, ebbe il sopravvento e l'ex Ss tornò in patria con l'aiuto della Stato.
Da bravo cittadino, Reder trovò anche un lavoro part-time per il Comune di Strassburg. Passò circa un anno prima di rimangiarsi il suo pentimento e dichiarare che aveva solo "seguito gli ordini", per poi morire nel 1991 all'età di 75 anni, da cittadino libero, a Vienna. (ANSA)

Marzabotto, il racconto di Ferruccio, sopravvissuto a Ss

'La mia vita è stata martoriata, vorrei vedere Italia migliore'

Ferruccio Laffi, al termine della lettura della sentenza per la strage nazista di Marzabotto © ANSA

Ferruccio Laffi, al termine della lettura della sentenza per la strage nazista di Marzabotto -
"La mia vita è stata martoriata. Sono stato cinquant'anni senza parlare di queste cose: prima c'era silenzio, poi hanno scoperto 'l'armadio della vergogna' ed è venuto tutto alla luce. All'inizio facevo fatica a raccontare, volevo solo dimenticare, ma non si riesce a farlo. E' sempre una ferita che fa male". Gli occhi velati dalle lacrime, ma lucidi e pieni di ricordi. Ferruccio Laffi, 91 anni compiuti a maggio, abita a Marzabotto, sulle colline di Bologna, ed è sopravvissuto all'eccidio di Monte Sole. Il 30 settembre del 1944, 14 membri della sua famiglia vennero uccisi dalle truppe delle SS nel cortile della loro casa. Ferruccio, allora 16enne, scoprì cosa era accaduto solo a sera, quando rientrò a casa. "Già il 29 settembre avevamo cominciato a sentire gli spari - racconta seduto al tavolo della sua cucina - abbiamo avvistato un primo plotone di soldati tedeschi, mio padre mi disse di andare ad avvisare i partigiani. Io corsi da loro, ma sapevano già tutto e mi dissero di nascondermi. Aspettai alcune ore, poi tornai a casa. Mi accolse mia madre che mi disse che non era accaduto nulla e che i soldati avevano solo chiesto da bere. Per me, per noi, era già finito tutto.
Marzabotto: il racconto di Ferruccio, sopravvissuto alle Ss

Il giorno dopo, il 30 settembre, siamo andati nei campi, a mezzogiorno siamo tornati a casa a mangiare. Finito il pranzo - continua Laffi - abbiamo guardato in alto e abbiamo visto altre truppe tedesche avanzare verso casa. Non era finita. E non sapevamo niente di quello che era successo il giorno prima". Ferruccio e i suoi fratelli si nascosero tra i calanchi che costeggiano il fiume Reno. "Sapevamo - prosegue - che i tedeschi prelevavano gli uomini per farli lavorare e io, a 16 anni, ero già un uomo. Siamo andati a nasconderci, erano le 2 di pomeriggio. A casa erano rimaste 18 persone: 14 della mia famiglia e quattro sfollati. Quando è calato il buio, siamo tornati e abbiamo visto la casa bruciare. Pensavamo non ci fosse nessuno poi, nell'aia, trovammo tutti trucidati. C'era una persona rannicchiata in un angolo, era mio padre. Abbiamo spento le fiamme, la mattina dopo abbiamo scoperto che nelle altre case i tedeschi avevano fatto lo stesso". I tre fratelli seppellirono i vicini e i membri delle loro famiglia dopo avere chiesto ad un sacerdote un'ultima benedizione. "Lui rifiutò - ricorda Ferruccio - disse che non sarebbe venuto perché tirava una brutta aria, ma non era vero. Quel giorno non c'erano i tedeschi lì vicino. Se c'è un Dio, mi sono detto, queste cose non devono succedere. Dopo, ho smesso di andare a messa, poi un giorno, qui a Marzabotto, ho incontrato l'arcivescovo di Bologna, monsignor Matteo Maria Zuppi. Siamo diventati amici. Gli ho detto che sono un tifoso di Papa Francesco e, quando l'ho incontrato durante la sua visita in città, l'ho invitato a Marzabotto. Glielo ha detto anche Zuppi. E' difficile, ma sono certo che lui verrebbe".
Dopo l'ultimo saluto ai familiari, per i fratelli Laffi iniziarono giorni difficili, tra fughe e prigionia. Ferruccio venne separato dagli altri e, dopo essere stato costretto a lavorare per i tedeschi e avere scampato l'esecuzione, raggiunse Bologna dove ha vissuto il giorno della Liberazione della città, il 21 aprile 1945. "E' stata una giornata bellissima - ricorda commosso - ero contento, ma alla sera, quando sono rientrato a casa, sono andato a letto e ho pensato che della mia famiglia non c'era più nessuno".
Negli anni successivi, Laffi ha raccontato la sua storia a tanti giovani, a studenti di tutte le età. Un impegno a cui non viene meno per coltivare la memoria. Oltre a curare l'orto, per regalare la verdura di stagione a familiari e vicini, ogni giorno legge il giornale "perché è sempre importante - spiega - essere informati" e, ragionando sul presente, dice: "Io ho fretta: ho già compiuto 91 anni. Vorrei vedere un'Italia migliore. Basta odio, bisogna essere più tolleranti. Non bisogna chiudere i porti, non è possibile vedere gente che annega. Il mare è diventato un cimitero. Io se c'è uno che non mi piace lo evito, però non dico che lo odio. Io dovrei odiare i tedeschi per quello che mi hanno fatto, io non odio nessuno. La religione perdona tutti, il perdono degli uomini è personale". (ANSA)

1 commento:

  1. Pure io, sul tema, avrei tanto da dire.Porgere l'altra guancia è sottomissione a chi invece DEVE essere fermato: non sono credente di conseguenza Non condivido il suo pensiero.Ma se a costui quello che gli è successo e che sta succedendo sta bene così nulla da replicare. Lupo Alberto

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