di
Raffaele Mazzanti
Architetto
ed ex sindaco di Sasso Marconi
Foto dal web |
Trentacinque
anni fa, nel mese di luglio del 1974, si apriva al pubblico il Parco
Agricolo Naturale “PRATI DI MUGNANO” realizzato su terreni di
proprietà del Comune di Bologna nel territorio di Sasso Marconi.
Si
trattava del più esteso degli interventi compiuti negli anni ’60
e ’70 del secolo scorso volti alla conservazione, al ricupero ed
alla valorizzazione della fascia collinare compresa fra Reno e
Savena, la città storica e l’area di grande valore naturalistico
del Contrafforte Pliocenico che si affaccia sul torrente Setta da
cui, fin dal tempo dei romani, attinge acqua potabile la città di
Bologna.
Villa
Spada, Villa Ghigi (dov’è la sede della Fondazione omonima),
Paderno, Cavaioni, Paleotto, Forte Jola, Forte Bandiera, il Monumento
ai Caduti di Sabbiuno ormai a Pieve del Pino, i luoghi e i nomi dei
più noti parchi collinari che dai bordi della città storica si
spingono verso sud e dove ancora oggi ogni giorno tanti cittadini si
recano per respirare aria buona, godere di bei panorami, camminare,
correre o fare altre attività di esercizio fisico oppure
trascorrere piacevoli momenti di riposo da soli o in compagnia.
Insieme al Parco Talon
realizzato per iniziativa del Comune di Casalecchio attorno alla
storica Chiusa del Reno da cui nasce il Canale che portava acqua alla
città antica fornendo l’energia idraulica necessaria al
funzionamento dell’industria legata alla filatura della seta che
costituì –fra Medio Evo e Rinascimento- la prima fase di
industrializzazione del bolognese, parlo di un complesso di molte
centinaia di ettari del territorio urbano e suburbano che sono stati
sottratti in quegli anni alle mire ed alle devastazioni della
speculazione edilizia.
Chi
oggi, in questi giorni di fine giugno 2019, cammina sui sentieri che
salgono verso la parte alta dei “Prati di Mugnano”, nello
splendore delle ginestre fiorite, per giungere al sito della
Commenda, alle spalle della Rupe di Badolo, forse ignora del tutto la
storia relativamente recente di quella fase delle politiche comunali
che portarono alla realizzazione di questo come degli altri parchi
cui ho accennato; certamente però si domanda il perché dello stato
di deplorevole abbandono di tanti edifici che potrebbero ancora
fornire -in termini aggiornati- nuove occasioni di ri-uso per
finalità sociali, abitative, produttive o ricreative come fecero in
passato in altri contesti economici e politici.
Così
poi, tornando verso Bologna, si domanderà perché mai non ci si
decida a completare la cintura di verde pubblico che unirebbe
definitivamente città antica e collina sulle aree cosiddette della
STAVECO, fra Porta d’Azeglio e Porta Castiglione spingendosi dai
viali di circonvallazione verso via Putti, la collina di San Michele
in Bosco e l’Istituto Rizzoli.
L'ex sindaco oltre a porsi domande dia anche le risposte.
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