Dall'Ue
nessun obbligo di applicare un prezzo alle buste per prodotti
alimentari sfusi. Bruxelles, semmai, chiede agli Stati membri misure
per ridurre l'uso dei normali shopper di plastica 'leggera'. Ma il
nostro Paese è all'avanguardia: le ha già applicate nel 2011
Inviato:
Sgombriamo
subito il campo dagli equivoci: l'Europa in tutta questa vicenda
c'entra poco. E di sicuro, non ha imposto all'Italia di
mettere un prezzo
sui sacchetti di
plastica ultraleggeri.
Già, perché la polemica che sta infuriando sui social e nei
supermercati italiani, dove dal 1 gennaio di quest'anno i sacchetti
per i prodotti alimentari sfusi come la frutta sono a pagamento,
riguarda una legge promossa in piena autonomia dal nostro governo.
La
norma è contenuta in un emendamento
inserito nel decreto legge Mezzogiorno
e prevede che si applichi un prezzo ai sacchetti sotto i 15 micron.
Tale prezzo, secondo i dati raccolti finora da Adoc, è di 3
centesimi a busta. Il che, sempre secondo l'Adoc, non dovrebbe
condurre a “stangate” vere e proprie: la media di buste di questo
tipo consumate in Italia è di 200 pro capite e dunque il costo
annuale di aggirerebbe sui 6 euro.
Stangata
o meno, resta il fatto che gli italiani non sembrano aver gradito
quella che considerano una tassa occulta. E come avvenuto per altre
normative “spinte” da Bruxelles, hanno puntato il dito contro
l'Unione europea. Ma come dicevamo, stavolta l'Ue c'entra poco.
Lo strano caso degli ultraleggeri
Per
capire meglio lo strano caso, va fatta subito una distinzione tra i
sacchetti di plastica “di materiale leggero” (le comuni buste in
Italia sono da anni a pagamento) e i sacchetti ultraleggeri per
i prodotti sfusi, fino all'anno scorso gratuiti.
La
direttiva europea sui cui si fonda la norma italiana
è la 720 del 2015. In questa direttiva, Bruxelles chiede agli Stati
membri di ridurre il consumo di buste di plastica “normali” in
due modi: o facendo in modo che “l'utilizzo annuale non superi 90
borse di plastica di materiale leggero pro capite entro il 31
dicembre 2019 e 40 borse di plastica di materiale leggero pro capite
entro il 31 dicembre 2025”, o “strumenti atti ad assicurare che,
entro il 31 dicembre 2018, le borse di plastica in materiale leggero
non siano fornite gratuitamente nei punti vendita di merci o
prodotti, salvo che siano attuati altri strumenti di pari efficacia”.
Cosa ci chiede (davvero) l'Ue
In
sostanza, Bruxelles chiede agli Stati di attuare misure per ridurre
l'uso di sacchetti di plastica “di materiale leggero” e non
ultraleggero. E tra l'altro, non chiede che si applichino per forza
dei costi. Ma attenzione: questo in Italia già avviene da più di un
lustro. Il nostro paese, infatti, è stato tra i primi in Europa a
introdurre un costo obbligatorio per i normali sacchetti di plastica,
con una legge del 2010 entrata in vigore nel 2011. Senza nessuna
imposizione.
Inoltre,
la nostra legge ha messo al bando i sacchetti non biodegradabili,
misura che ci pone tra i paesi più avanzati nell'Ue in materia. Più
avanzati persino della stessa Ue, tanto che la Commissione aveva
aperto una procedura d'infrazione contro l'Italia perché il divieto
sui sacchetti non biodegradabili rischiava di limitare la libera
concorrenza nel mercato unico.
La "bufala" della procedura d'infrazione Ue
Questa
procedura, dunque, andava in senso totalmente opposto a quanto
diversi media e politici sostengono in questi giorni, ossia che il
prezzo sui sacchetti ultraleggeri sia una misura volta a evitare una
eventuale multa di Bruxelles. L'errore è triplice: uno, perché la
procedura diceva altro. Due, perché questa procedura è stata chiusa
nel 2016. E terzo, e qui sta il nocciolo della questione, perché la
direttiva Ue del 2015 dice espressamente che “le borse di plastica
in materiale ultraleggero possono essere escluse dagli obiettivi di
utilizzo nazionali” e che quindi possono essere esentate da
sovraccosti.
Nessun commento:
Posta un commento