sabato 29 luglio 2017

"Così in Emilia-Romagna la 'ndrangheta si è fatta impresa".

Nelle motivazioni della sentenza Black Monkey, la descrizione di una mafia imprenditrice capace di infiltrare economia e istituzioni: "Non si pone più come antagonista dello Stato."

 

Sollecitato

BOLOGNA - In Emilia Romagna la 'ndrangheta si è fatta impresa. E più esattamente "il potere mafioso ha assunto connotati manageriali e ora si estrinseca sempre più nei settori dell’economia, pubblica e privata". Ma quel che è più grave è che la 'ndrangheta "non si pone più come antagonista dello Stato". Lo scrive nero su bianco il giudice Michele Leoni, presidente del collegio che nei mesi scorsi ha condannato a pene pesantissime molti degli imputati del processo Black Monkey, accusati di appartenere ad una cosca di ‘ndrangheta guidata da Nicola Rocco Femia, il boss che fu accusato per le minacce al giornalista Giovanni Tizian. Nelle motivazioni della sentenza, depositata ieri, per il giudice "si tratta di un’attitudine imprenditoriale che si traduce in capacità criminale".
"UN SISTEMA DI POTERE". 
In questo senso infatti il fenomeno mafia (evoluto e non più ancorato in schemi arcaici) "prima ancora che una consorteria criminale, è un sistema di potere fondato sul consenso sociale ed economico che ne consegue e che, a questo punto, non può prescindere dalla penetrazione nelle istituzioni, rispetto alle quali, all’apparenza, la mafia è sempre antagonista". Da qui per dire che "la sua esistenza e la sua affermazione comportano quindi anche la collaborazione con funzionari pubblici, con apparati dello Stato e politici, e il supporto sociale”.
"NON SOLO PIZZO". 
Secondo Leoni la vicenda del clan Femia dimostra come “la mafia oggi sta diventando sempre più un idem sentire, una modalità di organizzare attività illecite e parallele (compresi i servizi) secondo le logiche dell’economia diffusa. Non più solo pizzo e affini, ma imprenditori con aspirazioni monopolistiche oppure oligopolistiche, senza però prescindere, all’occorrenza, dai consueti metodi illegali al fine di insediarsi e consolidarsi". In altri termini "il consenso sociale, può essere tanto estorto agli altri operatori economici, quanto provenire dai vantaggi offerti dalla condivisione di attività illecite".
"COLLEGAMENTI CON FUNZIONARI".
Leoni spiega poi che "nell’associazione capeggiata da Femia si concentra tutto questo". Ossia "managerialità e familismo, relazioni con facilitatori che intercedono per accordi (reali o presunti) o che, sempre nell’ottica delle dinamiche affaristiche, contattano a loro volta altri referenti". Il processo ha dimostrato "collegamenti con funzionari che assicurano una rete di sicurezza svelando indagini, o con sedicenti o effettivi appartenenti all’intelligence", oltre naturalmente "a antiche e consolidate relazioni con altre organizzazioni mafiose che, sempre all’occorrenza, intervengono in una sorta di mutuo soccorso trasversale alle singole mafie".
"CAPACITA' DI INTIMIDAZIONE".
La ‘ndrangheta poi non ha più bisogno di praticare forme di violenza evidenti. Tant’è che "l’associazione a delinquere facente capo a Femia era un’associazione di tipo mafioso perché sprigionava, per il solo fatto della sua esistenza, una capacità di intimidazione non soltanto potenziale". Femia e i suoi erano insomma in grado di "piegare ai propri fini la volontà di quanti venivano a contatto con i suoi componenti". La cosca che minacciò di morte il giornalista dell’Espresso, Giovanni Tizian, è insomma la "fotografia" di mafia moderna, capace di insediarsi ben al di fuori dei contesti storici. Una mafia moderna e mutevole per contrastare la quale, scrive Leoni è oggi più che mai necessario "rivisitare le norme incriminatrici". Una mafia moderna a cui si può opporre solo uno Stato al passo con i tempi.

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