Stefano Scutigliani |
«Ho
dovuto dire no a un contratto da 30 milioni che comprendeva anche
la costruzione di un nuovo stabilimento, non perché mancassero i
soldi per la nuova fabbrica ma perché trovare adesso cento periti
è un’impresa, visto che ogni anno ne escono dieci dal nostro
Itis. Non ho perso la commessa ma sono stato costretto a
rimandarla. Del resto, le opportunità vanno di pari di passo con
il bacino d’utenza. Noi siamo un’azienda eccellente, ma io in
questo momento posso garantire solamente i prossimi cinque anni».
Stefano Scutigliani, ad di Metalcastello, da qualche mese sta portando avanti una battaglia personale: salvare l’Appennino in crisi e anche la sua azienda. L’azienda, — un giro d’affari di circa 50 milioni e 260 dipendenti negli stabilimenti di Castel di Casio e Gaggio Montano — rilevata dal colosso spagnolo CIE Automotive, è la mosca bianca della montagna che da Demm a Saeco non fa altro che contare le vittime della lunga recessione.
Perché lei si ferma ai prossimi cinque anni nonostante l’azienda sia in crescita?
«Se continuo a rifiutare contratti per mancanza di materia grigia, prima o poi qualcosa succede. Non riusciremo a mantenere l’eccellenza per tanti anni perché i nostri dipendenti andranno in pensione e non verranno rimpiazzati ».
È una crisi inevitabile?
«No, siamo di fronte a una crisi generazionale e dobbiamo trovare una soluzione. Nel lungo periodo investendo nella scuola. Nel breve vuole dire anche orientamento scolastico. Nel Bolognese chi vuole trovare lavoro deve fare l’istituto tecnico e poi magari Ingegneria. Poi dobbiamo portare le maestranze qui dove abbiamo bisogno. Ma mica con il treno del Far west che ci mette più di un’ora e dieci, ma con un mezzo che copra la tratta in venti minuti. Mio figlio vive a Bologna e lavora a Milano perché in treno ci mette meno che ad arrivare qui».
Sulla scuola che cosa avete fatto?
«Con la novità dell’alternanza scuola lavoro abbiamo stipulato una convenzione con Aldini, Beluzzi e Montessori. Entriamo in aula e facciamo un percorso di 200 ore negli ultimi tre anni. Una scelta che per gli studenti è propedeutica a un ingresso meno traumatico nel mondo del lavoro. La stessa cosa la facciamo con l’Ateneo. Stagisti che vengono a completare la tesi e a cui si offre l’opportunità di lavorare qui. Ma non basta».
Ma come mai non le arrivano i curricula dei tanti lavoratori delle aziende in crisi della montagna?
«Francamente non lo so. La Demm, per esempio, è in amministrazione straordinaria. Abbiamo manifestato un interesse per partecipare all’asta e quindi anche per i dipendenti, ma di curriculum non ne arrivano ».
Sarà anche un problema della vostra offerta?
«Noi cerchiamo maestranze qualificate, la tecnologia si è evoluta ma il livello di preparazione è rimasto uguale a 30 anni fa. La strategia una volta era prendere una persona e insegnarle tutto. Ma non è più così. In quest’azienda si parla inglese. Non solo tra i manager, anche in officina. Banalmente perché arrivano clienti tedeschi e i nostri tecnici per parlare delle macchine devono usare l’inglese. Ci si aspetta che chi esce da scuola parli bene inglese. Ci sono cose che non si possono più insegnare e mi fermo qui».
L’Appennino rischia la deindustrializzazione?
«Io venivo qui da piccolo e c’era un’altra atmosfera. Dopo 30 anni sono tornato qui a fare l’amministratore delegato e si respira un’aria di depressione, non riesco a capirne il motivo. È come se ci fosse una cappa, ma se mettiamo a posto tre cose questa è aria di eccellenza».
Perché è così ottimista?
«Siamo in un posto meraviglioso, al centro tra Bologna e Firenze, che nella meccanica resta un’eccellenza. Ma non si può competere nel mondo globale con strumenti medievali. Noi parliamo di industria 4.0 senza linea internet. Per non parlare di trasporti, comunicazione ed energia. Le racconto una cosa».
Prego.
«Ogni mese c’è un calo di energia di alcuni secondi e in casa la luce si spegne. La gente si è abituata. Ma in un’azienda metalmeccanica come la nostra si bloccano le macchine e le attrezzature si rovinano. Si inceppa tutto e perdiamo ore per ripartire, un secondo di calo di energia alla fine dell’anno ci costa milioni di produzione persa. Queste inefficienze non esistono più nemmeno nei Paesi in via di sviluppo. Alcuni imprenditori si sono già arresi e hanno mollato, noi non lo vogliamo fare. Questa ormai è diventata una battaglia personale ».
Stefano Scutigliani, ad di Metalcastello, da qualche mese sta portando avanti una battaglia personale: salvare l’Appennino in crisi e anche la sua azienda. L’azienda, — un giro d’affari di circa 50 milioni e 260 dipendenti negli stabilimenti di Castel di Casio e Gaggio Montano — rilevata dal colosso spagnolo CIE Automotive, è la mosca bianca della montagna che da Demm a Saeco non fa altro che contare le vittime della lunga recessione.
Perché lei si ferma ai prossimi cinque anni nonostante l’azienda sia in crescita?
«Se continuo a rifiutare contratti per mancanza di materia grigia, prima o poi qualcosa succede. Non riusciremo a mantenere l’eccellenza per tanti anni perché i nostri dipendenti andranno in pensione e non verranno rimpiazzati ».
È una crisi inevitabile?
«No, siamo di fronte a una crisi generazionale e dobbiamo trovare una soluzione. Nel lungo periodo investendo nella scuola. Nel breve vuole dire anche orientamento scolastico. Nel Bolognese chi vuole trovare lavoro deve fare l’istituto tecnico e poi magari Ingegneria. Poi dobbiamo portare le maestranze qui dove abbiamo bisogno. Ma mica con il treno del Far west che ci mette più di un’ora e dieci, ma con un mezzo che copra la tratta in venti minuti. Mio figlio vive a Bologna e lavora a Milano perché in treno ci mette meno che ad arrivare qui».
Sulla scuola che cosa avete fatto?
«Con la novità dell’alternanza scuola lavoro abbiamo stipulato una convenzione con Aldini, Beluzzi e Montessori. Entriamo in aula e facciamo un percorso di 200 ore negli ultimi tre anni. Una scelta che per gli studenti è propedeutica a un ingresso meno traumatico nel mondo del lavoro. La stessa cosa la facciamo con l’Ateneo. Stagisti che vengono a completare la tesi e a cui si offre l’opportunità di lavorare qui. Ma non basta».
Ma come mai non le arrivano i curricula dei tanti lavoratori delle aziende in crisi della montagna?
«Francamente non lo so. La Demm, per esempio, è in amministrazione straordinaria. Abbiamo manifestato un interesse per partecipare all’asta e quindi anche per i dipendenti, ma di curriculum non ne arrivano ».
Sarà anche un problema della vostra offerta?
«Noi cerchiamo maestranze qualificate, la tecnologia si è evoluta ma il livello di preparazione è rimasto uguale a 30 anni fa. La strategia una volta era prendere una persona e insegnarle tutto. Ma non è più così. In quest’azienda si parla inglese. Non solo tra i manager, anche in officina. Banalmente perché arrivano clienti tedeschi e i nostri tecnici per parlare delle macchine devono usare l’inglese. Ci si aspetta che chi esce da scuola parli bene inglese. Ci sono cose che non si possono più insegnare e mi fermo qui».
L’Appennino rischia la deindustrializzazione?
«Io venivo qui da piccolo e c’era un’altra atmosfera. Dopo 30 anni sono tornato qui a fare l’amministratore delegato e si respira un’aria di depressione, non riesco a capirne il motivo. È come se ci fosse una cappa, ma se mettiamo a posto tre cose questa è aria di eccellenza».
Perché è così ottimista?
«Siamo in un posto meraviglioso, al centro tra Bologna e Firenze, che nella meccanica resta un’eccellenza. Ma non si può competere nel mondo globale con strumenti medievali. Noi parliamo di industria 4.0 senza linea internet. Per non parlare di trasporti, comunicazione ed energia. Le racconto una cosa».
Prego.
«Ogni mese c’è un calo di energia di alcuni secondi e in casa la luce si spegne. La gente si è abituata. Ma in un’azienda metalmeccanica come la nostra si bloccano le macchine e le attrezzature si rovinano. Si inceppa tutto e perdiamo ore per ripartire, un secondo di calo di energia alla fine dell’anno ci costa milioni di produzione persa. Queste inefficienze non esistono più nemmeno nei Paesi in via di sviluppo. Alcuni imprenditori si sono già arresi e hanno mollato, noi non lo vogliamo fare. Questa ormai è diventata una battaglia personale ».
E' una barzelletta?
RispondiEliminaMa caro sig. Scutigliani, anche lei però in fatto di arretratezza non scherza! Lei si lamenta del calo di tensione elettrica che danneggia la continuità del lavoro. Perchè non installa un bel generatore, come fanno gli ospedali, che entra in funzione automaticamente all'occorrenza? Perchè non fa come in Inghilterra, Svezia, Germania dove la specializzazione ai ragazzi neo-diplomati la fanno in azienda, così come per l'inglese tecnico , che non si può imparare a scuola, ma si impara sul campo! Se lei si aspetta che giovani neo-diplomati arrivino nella sua azienda sapendo già fare tutto, allora lei può chiudere domani, perchè non ha futuro! Auguri!
RispondiEliminaIl silenzio del sindacato circa questo articolo la dice lunga sul "fiato sospeso" che si ha sul destino dei lavoratori della metalcastello che dopo una notizia del genere lavoreranno senza neanche andare al cesso, perchè se un secondo di energia elettrica in meno, causa perdite di milioni di euro, figuriamoci quanto calcola di perdere questo A.D. per i circa 4 minuti al giorno che ogni lavoratore passa in WC.
RispondiEliminaHo conosciuto altri A.D. superpagati per esaltare difficoltà facilmente superabili solo perchè nel loro mandato era compresa la clausola di liquidazione dell'azienda.I sindacati MUTI.
Io mi vergogno ad abitare vicino a questo soggetto. Gente che in vita sua non ha CAPITO NIENTE e si ritrova al vertice di un azienda del genere. Fanciullo, i ragazzi di oggi si fanno un mazzo tanto per studiare,spendono soldi e tanti! È il sistema che è sbagliato! Cosa pensa... che si esce da una scuola e si sa fare un lavoro? Mi meraviglia....dall'alto dei suoi anni non ha ancora capito come si sta al mondo!! VERGOGNATI!!!! L'azienda non merita il fallimento solo per chi ci lavora. Per lei può chiudere domani! FALLITO!
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