domenica 8 maggio 2016

Pensioni, preoccuparsi di illusioni mentre il problema reale passa quasi inosservato.


Da La Voce di Venezia. Segnalato.


Potete immaginarvi milioni di operai e di impiegati sessantenni e forse settantenni che lavorano ancora in attesa della pensione? Pensate all'operaio di una catena di montaggio che deve stare attento a che la dentiera non cada negli ingranaggi dei macchinari sopra i quali lavora. Oppure immaginate l'impiegato di età avanzata che fa lo straordinario di sera in ufficio e che deve andare spesso in bagno?
Pensioni, preoccuparsi di illusioni mentre il problema reale passa quasi inosservato
E’ verosimile ritenere che, nel lungo periodo, la mia pensione dipenda realmente e principalmente dagli anni di contribuzione e dall’ammontare dei contributi versati?
Molti oggi si preoccupano a causa della relazione tra contributi versati e pensione futura e tentano di fare calcoli, simulazioni e «congetture» sull’ammontare del trattamento previdenziale che riceveranno, consultando spesso i più svariati siti internet in materia. Altri guardano con crescente timore all’inevitabile aumento dell’età pensionabile che potrebbe salire anche sopra la soglia dei settant’anni. I giuristi «si perdono» con i loro sterili discorsi sui diritti acquisiti e sull’intangibilità degli stessi. Quante sono le illusioni che la mente umana riesce a generare, mentre il problema reale passa quasi inosservato!
Tutti ragionano con schemi passati che presto svaniranno. Nessuno, infatti, considera la variabile più importante nel calcolo della pensione futura. Essa non è di certo costituita dall’ammontare dei contributi versati né dall’età né dai diritti acquisiti, ma dalla necessità di garantire la «pace sociale». La Storia insegna che il diritto acquisito (anche se «di origine divina») è «aria fritta» davanti alla potenza ignea delle masse affamate che, come il magma, possono travolgere e riplasmare ogni cosa. Le teste sacre dei Re di Francia sono cadute. Lo santa persona dello Zar è finita nella polvere. Figuriamoci la fine che può fare un diritto acquisito di tipo previdenziale di un semplice cittadino calcolato sulla base di una serie di versamenti!
Basta ragionare con gli schemi passati! Pensiamo al domani!
Vent’anni da oggi. Mondo del futuro. Potete immaginarvi milioni di operai e di impiegati sessantenni e forse settantenni che lavorano ancora in attesa della pensione? Pensate all’operaio di una catena di montaggio che deve stare attento a che la dentiera non cada negli ingranaggi dei macchinari sopra i quali lavora. Oppure immaginate l’impiegato di età avanzata che fa lo straordinario di sera in ufficio e che deve andare spesso in bagno per problemi alla prostata. Inoltre, ricordate le discriminazioni sulla base dell’età. Provate oggi a cercare un’occupazione a quarant’anni e vedrete quanto efficiente e inclusivo è il mercato del lavoro! Immaginatevi a sessanta o settant’anni! Pensate alla facilità con cui è possibile licenziare dopo le recenti riforme. Che impresa vorrà avere personale di cinquanta e sessanta anni quando esiste già oggi una marea di giovani da cui attingere la forza-lavoro? E i precari e le Partite IVA? Fino a che età lavoreranno e che pensioni avranno? Soprattutto ci si deve porre due domande: chi sosterrà i consumi quando «si esauriranno» i pensionati e i lavoratori «vecchio stampo» (con salari alti, lavori stabili e relative pensioni elevate)? Che effetti dirompenti avrà il crollo dei consumi sull’occupazione?
Tutto il nostro sistema pensionistico ormai è nulla di più di un sofismo basato su schemi di altri tempi e destinato a infrangersi contro il cambio di tipo di economia come acqua sugli scogli.
In un sistema chiaramente insostenibile nel lungo periodo (povertà crescente, disoccupazione e sottoccupazione strutturali con situazioni sociali incontenibili), lo Stato dovrà (a pena di una rivoluzione o comunque di una situazione socio-economica intollerabile) garantire dei redditi di sussistenza alla gran parte degli anziani del futuro, siccome le vecchie logiche (prima retributive e oggi contributive) non saranno in grado di fornire pensioni dignitose a un numero sufficiente di cittadini. Ne conseguirà una tendenza al livellamento dei trattamenti pensionistici. Pertanto, chi avrà versato 40 anni di contributi si troverà a percepire una pensione non molto più alta da chi ne avrà versato 20 a parità delle altre condizioni (con le probabili eccezioni della classe politica e della casta ad essa collegata degli alti funzionari dello Stato che si riserveranno comunque dei trattamenti previdenziali di tipo superiore).
In parole semplici ed elementari e con un esempio: «togliere» 100 Euro al mese dalla pensione di 1100 Euro (con una serie di indecifrabili Leggi con articoli di 100 commi ciascuno in materia fiscale/previdenziale) per finanziare un sistema di reddito universale servirà a ridurre i casi di precari/sottoccupati/pensionati «affamati» che potrebbero «sbandarsi» e diventare socialmente pericolosi. Ovviamente i 100 Euro dell’esempio verranno «tolti» pian piano, anno dopo anno, attraverso le «pieghe normative» di un sistema tributario/previdenziale oscuro ai più. In questo consisterà la tendenza al livellamento generale dei trattamenti previdenziali futuri (attuato sotto forma di pensioni o di interventi di sostegno al reddito comunque denominati), non in raffinati modelli matematico-previdenziali!
Ci sono dei rimedi per evitare il tracollo economico e questo livellamento (sicuramente ingiusto per chi ha versato molti più contributi)?
Sì, eccone alcuni:
1) acqua, gas, elettricità e servizi pubblici essenziali erogati a prezzi di poco superiori al relativo costo come ai tempi delle municipalizzate comunali;
2) case popolari dignitose e soprattutto economiche (non solo in termini di canone di locazione, ma anche con riferimento alle bollette e ai costi condominiali);
3) tutela della produzione nazionale;
4) drastica riduzione del sistema delle cooperative, del lavoro interinale e di altre forme di esternalizzazione dei costi aziendali che vanno a scapito della retribuzione del fattore lavoro;
5) lotta alla speculazione finanziaria;
6) lotta all’evasione fiscale dei grandi contribuenti (che non serve di certo a sostenere i consumi, ma a spostare immensi capitali in paradisi fiscali).
Queste cinque politiche da sole potrebbero alleviare le sofferenze di intere sezioni della popolazione italiana e rilanciare l’economia. Altrimenti, nel lungo periodo sarà inevitabile che «chi non ha vada a prendere da chi ha». Questo «spossessamento» potrà attuarsi in tre forme: direttamente per strada -furto/rapina ovverosia stato di natura-, rivoluzioni sociali -radicale cambiamento dell’establishment-, o attraverso la mediazione dello Stato -estensione di una forma di reddito universale in situazioni insostenibili (e le situazioni insostenibili non saranno più l’eccezione, ma rischieranno di diventare la regola in un mondo in cui il lavoro è strutturalmente scarso e poco retribuito-).
In questo contesto, non saranno di certo le sentenze sui diritti acquisiti della Corte Costituzionale o i modelli pensionistici sviluppati attraverso i software dell’INPS a fermare tale movimento epocale. Giurisprudenza costituzionale e modelli INPS sono «aria fritta» rispetto alla necessità di garantire la «pace sociale». Statene certi! Sarà Il costo della «pace sociale» a incidere sul sistema previdenziale più di ogni altro fattore!
Ma, a ben vedere, è sempre stato così! Per quale motivo sono stati assunti milioni di dipendenti pubblici, riconosciuti salari alti, lavori stabili e pensioni elevate per decenni (creando un «abisso» nelle casse dello Stato) se non per garantire la «pace sociale» (e all’epoca anche il benessere sociale) in tempi in cui i ceti dominanti temevano una rivoluzione di tipo socialista (quanto meno dagli Anni Quaranta in poi)?
Il costo della «pace sociale» è la «tangente» che i ceti dominanti (attraverso lo Stato che controllano) sono pronti a riconoscere al popolo per poter rimanere nella propria posizione apicale. Un tempo tale costo era elevato siccome il popolo era politicamente organizzato, vivo, pulsante e abituato a un tenore di vita crescente. Oggi l’economia è satura; lo Stato indebitato; il popolo morente, stanco, depresso. Di conseguenza, il costo della «pace sociale» sarà in futuro pari al costo di mera sussistenza della gran parte della popolazione. E questo aspetto non potrà non coinvolgere anche il sistema previdenziale che sarà improntato a livelli di mera sussistenza universale (non più di benessere generale) al fine di garantire la «pace sociale».
Avv. Gianluca Teat

4 commenti:

  1. Ottima analisi, avv. Teat; si ritornerà ben presto alla mentalità degli anni '50,quando, i ciechi seguaci del "socialismo reale", guardando le auto e le belle case dei cosidetti "padroni", dicevano: "Quando andremo al governo noi, quella macchina lì sarà mia, quella casa lì sarà della mia famiglia ecc. ecc." E' una mentalità che, in modo strisciante, sta già ritornando, e l'ho verificato io stesso, con le mie orecchie!

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  2. La realtà della pensione che fa tanto discutere ma che non ci sarebbe proprio niente da dire è che i governi non vogliono più dare niente a nessuno tantomeno una pensione futura, il loro progetto è quello di far morire di stenti e di lavoro le genarazioni future e quelle presenti. La vita sociale non è migliorata la salute e l' assistenza sanitaria è peggiorata già il ceto medio non si cura più la prevenzione viene fatta dai ricchi. Questo significa che chi ci governa spera che i lavoratori CREPINO prima della pensione. Altro che speranza di vita......la speranza è di far morire la gente tra i 60 o i 70 anni. Altrimenti i politici con cosa mantengono il loro tenore di vita, dei loro figli dei loro zii, cugini,compresi stipendi, pensioni d' oro e vitalizi ????

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  3. Quindi andare a votare vuol dire andare a ......

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