domenica 14 giugno 2015

Queciola di Lizzano. Il soldato italo-statunitense Andrea Goldstein verrà ricordato con una targa.



Di Silvia Cuttin

Giovedì prossimo 18 giugno, alle 12.30, a Querciola di Lizzano in Belvedere verrà scoperta una targa  dedicata a Andrea Goldstein ( nella foto),  il soldato morto con l’esercito di liberazione, la cui storia merita di essere ricordata perché  probabilmente, se non unica, certamente singolare. Casi analoghi a quello di Andrea si possono contare sulla dita della mano. Costretto ad andarsene dall’Italia a causa delle leggi razziali, emigrò negli Stati Uniti, si arruolò volontario nel 1943 nell’esercito statunitense, venne mandato proprio in Italia, paese da cui proveniva, dove morì in combattimento.

Su proposta del responsabile del progetto Linea Gotica Emilia-Romagna, e grazie al Comune di Lizzano in Belvedere,  lo scoprimento della targa avverrà durante le celebrazioni che i veterani (ormai pochi) e i discendenti della 10th Mountain Division USA compiono nei luoghi in cui hanno combattuto. All’incontro commemorativo parteciperà il sindaco di Lizzano in Belvedere, Elena Torri,  il presidente dell’Associazione 10th Mountain Division Descendants, Val Rios e qualche ex-commilitone di Andrea.

I veterani  in quel giorno ripercorreranno alcune tappe della loro avanzata verso la pianura padana e visiteranno i luoghi dei combattimenti del 1945.



La targa, proposta  da Vito Paticchia, recita così:
Andrea Goldstein

Fiume, 16/3/1923 – Sassomolare 5/3/1945
Ebreo italiano, vittima delle leggi razziali del 1938
Costretto a emigrare a New York nel 1939, nel 1943 si arruola volontario nella 10th Mountain Division
Decorato con Medaglia della Stella di Bronzo nella battaglia di Monte Cappel Buso
Muore sul campo di battaglia a Sassomolare
Medic – Company B – 86th Infantry


Motivazione della medaglia

Chi era Andrea Goldstein e perché questa targa, dopo 70 anni.
Andrea Goldstein era un giovane italiano, ebreo, nato a Fiume. A seguito delle leggi razziali italiane del settembre 1938, fu espulso dal Liceo Classico che frequentava a Trieste, dove si era trasferito, e gli fu ritirata la cittadinanza italiana.  Aveva 16 anni. L’anno successivo, insieme ad altri giovani cugini, emigrò negli Stati Uniti. Dallo studio del greco e del latino, passò al lavoro di inserviente nei bar e di operaio in fabbrica. Dopo qualche tempo riuscì a ottenere un lavoro migliore, al Mount Sinai Hospital, e si iscrisse ai corsi serali dell’Università. Era al sicuro, stava ricostruendosi la vita nel Paese che l’aveva accolto ma, nel gennaio del 1943 si arruolò volontario nella appena costituita 10th Mountain Division. Qui apprese a sciare e a usare le racchette da neve: quella Divisione si addestrava infatti per combattere i tedeschi sulle montagne europee. Si formò, però, come infermiere ed è con quella qualifica che fu imbarcato per l’Europa nel dicembre 1944.  Senza averlo forse voluto, Andrea (che ormai si faceva chiamare Andrew) tornò in Italia per contribuire a liberare quello stesso Paese che lo aveva discriminato ed espulso.
Il 18 febbraio Andrew era sul Monte Cappel Buso e, per una sua azione eroica, l’esercito gli riconobbe una medaglia (Bronze Star): incurante del fuoco nemico, aveva raggiunto un commilitone ferito per curarlo ed era rimasto con lui fino al termine dell’azione (documento allegato). Fu tra coloro che prestarono cure e assistenza ai feriti evacuati dalle cime dei Monti della Riva attraverso la teleferica costruita appositamente, che scendeva a Farnè, nel Comune di Lizzano in Belvedere .
Andrea trovò la morte pochi giorni dopo, nei pressi di Sassomolare, il 5 marzo 1945. Pochi giorni ancora e avrebbe compiuto ventidue anni.  Il sergente Norman D. Worley, suo commilitone e autore della poesia a lui dedicata (che segue), lo descrisse come una persona coraggiosa, appassionata, che non esitava a sfidare situazioni di pericolo pur di aiutare chi aveva bisogno.
La storia di Andrew, assieme a quelle di due suoi cugini che ebbero sorti diverse, è raccontata nel libro ‘Ci sarebbe bastato’ , Epika Edizioni 2011.



La Saga di Andrew Goldstein: Medic B – 86th

Era una fredda mattina il 22 febbraio del Quarantacinque,
sull’Appennino, sulla cima del Pizzo di Campiano.
Un poggio di scisto roccioso, di trenta metri per dieci,
in trecento metri quadrati, tedeschi e americani giocavano a nascondino.

Questa parte del Riva Ridge fungeva da scudo naturale
per i soldati dell’85° e 87° sul Monte Belvedere.
Le truppe del B-86° e l’A-Anti Tank non devono cedere.
Da qui non potremmo sopravvivere al fuoco nemico che abbiamo osservato.

Novanta tedeschi hanno attaccato alle sette e venticinque.
Il violento assalto si è trasformato in un combattimento di cinque ore.
Erano trentacinque i fanti del 10° Montagna in difesa.
La falce della guerra esigerà un tributo pesante prima di notte.

In Marina e nei Marines, i feriti chiamano “Corp-Man[1]”.
Nell’Esercito, il doloroso grido d’aiuto è ”Medic”.
Per altruismo, uno di questi deve essere in avanguardia.
Andrew Goldstein, B-86th, quali usanze ataviche ti hanno spinto a comportarti così?

Medic! Medic! Su! Fuori dal tuo buco: nessuna esitazione,
Nella confusione del fuoco di proiettili di cannone e di granate,
Tutto ciò dava ad Andrew una salda determinazione,
Che a ogni chiamata si doveva dare risposta – si doveva andare.

Medic! Medic! Attraverso il fuoco, la cordite[2] appesta l’aria.
Brevi giri! Cessate il fuoco! Là cinque sono a terra: vai a controllare.
Un uomo da meno rinuncerebbe; se ne andrebbe disperato.
Ma Andrew non lascia spegnersi scintille di Vita.

Velocemente, da uno all’altro, Andrew fa ciò che deve.
Con abilità applica il sulfamidico e stringe il laccio emostatico.
La cacofonia della guerra risuona nelle sue orecchie.
Terriccio e detriti si levano alti e scuri e il giorno è come notte.

Per alcuni il combattimento è l’ultimo, niente può essere fatto.
Nel mirino, Digitale e Spiewak aspettano muti.
In una trincea, in prima linea, giace Carl Casperson.
A Cappel Buso, Selwyn Alexander ha incontrato il suo destino.

I combattimenti sono finiti. Non c’è riposo per il Medic senza paura.
è l’ora di controllare le ferite, frettolosamente curate.
Prendere decisioni. Chi rimane – chi deve andare nelle retrovie.
Sarà necessaria la sostituzione per chi non ha più energie.

Alcuni cammineranno fino alla linea costruita dal D-126°.
I portantini avranno bisogno da quattro a dieci ore per trasportare il loro carico.
Ma una volta che sarai sulla teleferica di Fred Nagel, lunga seicento metri,
in cinque minuti sarai giù, sulla strada per l’ospedale.

In guerra, non mancano uomini coraggiosi al fronte.
Il nobile impulso è più forte dell’amore di un fratello.
Come quando questi eroi avanzano per sostenere l’attacco,
E senza indietreggiare sacrificano la propria vita per un amico.

Come quando un soldato chiama, e riceve l’assistenza di Andrew,
Un uomo più coraggioso, non l’ho mai visto - amico o nemico.
Dodici giorni dopo, a Sassomolare, Andrew diede tutto se stesso.
Qualcuno in Paradiso gridò “Medic” e Andrew Goldstein semplicemente dovette andare.
Norman D. Worley – T/Sgt. Co. A 10th Mountain Anti-tank



 The Saga of Andrew Goldstein: Medic B – 86th
It was a cold February 22nd morn in Forty-Five,
in the Apennines, on Pizzo di Campiano peak.
A rocky shale “KNOB”, one hundred feet by thirty-five,
On a twelfth of an acre, 88s’ and G.I.s’ played hide-and-seek.

This part of Riva Ridge acted as a natural shield
For 85th-87th Troopers on Mount Belvedere.
The troops of B-86th and A-Anti-Tank must not yield.
Observed enemy fire cannot be tolerate from here.

Ninety Germans attacked at seven twenty-five.
The onslaught grew into a five hour fire fight.
The defending 10th Mountaineers numbered thirty-five.
War’s “pruning hock” would claim a heavy toll ere night.

In the Navy and Marines, wounded men cry out “Corp-Man”.
In the Army, the woeful call for aid is “medic”.
For selflessness, one of these has to be in the van.
Andrew Goldstein, B-86th, what ingrained mores made you tick?

Medic! medic! Up! Out of your hole: no hesitation,
Into the mix of mortar – shell fire and grenade.
All this held for Andrew  grim determination.
That every call – had to be answered – must be made.

Medic! medic! Thru the fire, cordite skunks the air.
Short rounds! Stop that fire! There lie five: check ‘em out.
A lesser man would give up: quit in despair,
But Andrew won’t let sparks of Life be snuffled out.

Quickly, from one to another, Andrew does his thing.
Deftly, he applies the sulphs and tourniquet tight.
The cacophony of War has his ears a-ring.
Dirt, debris rise darkly high and day is as night.

For some the fight is final, nothing can be done.
On the scope, Digitale and Spiewak mutely wait.
In a foxhole, on the front line, lies Carl Casperson.
On Cappel Buso, Selwyn Alexander met his fate.

The fights over. No rest for the Medic with no fear.
It’s time to check the wounds, hastily tended.
Make decisions. Who stays – who goes to the rear.
Replacements will be needed for those expended.

Some will walk to the D-126th Tramway.
Litter bearers will need four to ten hours for their load.
But once on Fred Nagel’s six tundre yard cableway,
Five minutes down, you are hospital bound to the road.

In War, there is no lack of brave men at the front.
Stronger than a brother’s love is the noble trend.
As these heroes step forward to take the brunt,
and unflinchingly lay down their lives for a friend.

As one who had Andrews’ care in answer to a call,
A braver man, I have never seen – friend or foe.
twelve days later, at Sassomolare, Andrew gave his all.
Some one in heaven cried “Medic” and Andrew Goldstein just had to go.
Norman D. Worley – T/Sgt. Co. A 10th Mountain Anti-tank



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