mercoledì 12 novembre 2014

Castiglione dei Pepoli non può dimenticare Mariano Girotti.



Di Andrea Donati
La Voce di Castiglione dei Pepoli

L'immagine di Mariano Girotti la si trova all’ingresso principale del municipio  di Castiglione dei Pepoli, ma chi era? 

Rinfreschiamo la memomoria.

Mariano Girotti  nacque a Castiglione dei Pepoli il 14 settembre 1882 da Giuseppe, 'legale' di Pretura e facoltoso bottegaio, e Luigia Dall’Olio. Frequentò la 3° media inferiore, prestò la sua opera presso un orologiaio-orefice e nel 1900 , per concorso, divenne impiegato postale.
Nel 1896, due anni prima delle rivolte della fame in tutta Italia, la vita a Castiglione era dominata da cinque o sei famiglie che possedevano mezza montagna, controllavano gli uffici del Comune, l’esazione delle tasse e tutti gli aspetti della vita sociale del territorio: erano i 'liberali' dell’epoca. La vita dei suoi montanari era scandita dal lavoro della terra strappata al bosco, dal taglio della legna per farne carbone per poi comunque dover emigrare in autunno in Maremma e in altre regioni d’Italia o passare parte della propria vita nelle miniere di carbone in Sardegna o all’estero.
A quattordici anni Mariano rimase colpito dall’assalto ai forni da parte di un gruppo di baragazzini e nacque in lui quello spirito di giustizia e di lotta che lo porterà ad essere lui stesso la storia del movimento operaio castiglionese.
A sedici anni abbracciò l’ideale socialista creando scandalo, meraviglia ed entusiasmo nella società castiglionese. Fu uno schierarsi dalla parte degli umili, in un borgo dell’Appennino povero e isolato dove la miseria faceva la padrona. La miseria era talmente tanta che il sale veniva distribuito gratuitamente. 
Alla morte del padre, Mariano, in accordo con i fratelli stracciò la lista dei debitori della drogheria: erano i nomi del paese, delle famiglie degli operai, dei contadini, degli scalpellini e dei boscaioli e fu sicuramente il modo migliore di onorarlo.
E’ il 1898, l’anno dei moti popolari per il pane e il lavoro, spesso soffocati nel sangue: a Milano il 6 maggio, centinaia di dimostranti vengono trafitti e uccisi dalle sciabole dei cavalleggeri e dalle cannonate dell’artiglieria al comando del generale Bava Beccaris.
Questo gravissimo episodio sarà la causa scatenante che armò la mano dell’anarchico pratese Gaetano Bresci che il 29 luglio del 1900, dopo essere partito dagli Stati Uniti dove era emigrato da tre anni, con tre colpi di pistola uccise a Monza Umberto I di Savoia, re d’Italia.
Questi tristi avvenimenti riuscirono, grazie a Mariano, a scuotere la rassegnazione ad una vita umiliante creando nuovi fermenti di lotta e di giustizia sulle nostre montagne. Fondò la sezione socialista di Castiglione dei Pepoli e contribuì in modo determinante all’estendersi degli ideali socialisti in tutto il territorio, da Baragazza a Camugnano, da Lagaro a Ripoli e a S. Andrea.
Il 1° maggio 1906 fu arrestato per aver guidato a Baragazza un corteo di giovani manifestanti che festeggiavano quel giorno reclamando dignità sul lavoro e cantando l’Inno dei Lavoratori; fu processato e condannato come sovversivo a 60 lire di multa che scontò con sei giorni di carcere “ammanettato con i ferri di campagna dal maresciallo dei carabinieri detto Gattamorta”.
Consigliere comunale dal 9 agosto 1906, nel 1911 guidò i socialisti alla vittoria elettorale e fu eletto sindaco all’età di 29 anni. Creò e favorì le Leghe di categoria, l’assunzione di manodopera tramite l’ufficio di collocamento e il 16 marzo 1916  fu rieletto sindaco come pure il 10 ottobre 1920. Nell’autunno del 1920 fu eletto consigliere provinciale e il 13 gennaio 1921 fu dimesso sia da questa carica che da sindaco per decreto reale.
Si oppose con grande determinazione al fascismo a testa alta senza tentennamenti in difesa dei diritti dei più deboli e o anche affrontando apertamente con coraggio i sicari fascisti venuti per ucciderlo.
L’episodio più grave e più rischioso fu senza dubbio quello del 1921. Dopo un ennesimo attacco fascista respinto, gli squadristi  mandano un sicario con il compito  di uccidere Mariano Girotti.
Con la scissione socialista di Livorno e la nascita del Partito Comunista d’Italia,  Mariano aderì al neonato partito del lavoratori e fondò la sede del Partito Comunista di Castiglione dei Pepoli.

Intanto per le strade del paese, alloggiato in un albergo, cominciò a circolare un giovane in divisa grigioverde da sergente degli arditi, con camicia nera, pugnale e bombe alla cintola. Frequentava i locali pubblici sparlando  di Mariano Girotti definendolo canaglia e pauroso. Mariano, venutone a conoscenza, non lasciò tempo al tempo e affrontò il giovane. Lo trovò  davanti all’ingresso del Comune e gli chiese con voce ferma ma pacata: “Giovanotto, cercate qualcuno?”.  “Sì, il sindaco", gli rispose il fascista. " Perché me lo chiedete?”-“Perché l’ex sindaco sono io”, lo informò e prontamente Mariano e lo invitò a fare due passi.
Il giovane, mettendo mano sul pugnale, rifiutò l’invito “No, sono io a decidere quelle che si deve o non si deve fare!”. Girotti non si perse d’animo e con naturalezza lo invitò allora a bere insieme un bicchiere in un bar del paese. L’ingresso nel bar fu come una scena da film western: la padrona si mise a piangere e molti avventori uscirono dal locale.
Dopo aver bevuto un caffè ed alcuni bicchierini, ”Perché vuoi uccidermi?”, fu la domanda a bruciapelo di Mariano al giovane fascista che balbettando rispose “Ho…carta bianca…mi…pagano…”. La storia quella volta fini lì e in questo modo.
Il “Lupo dell’Appennino”, come lo chiamavano i suoi compagni durante gli anni infuocati della costruzione del bacino idroelettrico del Brasimone e della lunga galleria della Direttissima guidò i lavoratori alle battaglie per le 8 ore di lavoro, per estendere l’occupazione e per la conquista di migliori contratti di lavoro e a niente valsero i tentativi di corruzione da parte dei “padroni” che Mariano rifiutò apertamente “….l’impresa che costruiva il bacino del Brasimone tentò di corrompermi facendomi scivolare in mano una grossa busta….io feci diventare paonazzi i padroni che tentavano di comprarmi….si disse che stracciai la busta, ma non è vero perché se fossi riuscito avrei preso il malloppo per distribuirne il contenuto agli operai.”
Fin dai primi momenti della sua fondazione, Mariano Girotti passò al Partito Comunista d’Italia: licenziato dalle Poste fu perseguitato ed arrestato molte volte e fu costretto ad emigrare in Francia, in Belgio e nel Principato di Monaco assieme a tanti altri Castiglionesi.
A Castiglione dei Pepoli il fascismo non riescì a darsi una base grazie alla classe operaia forgiata da Mariano Girotti nelle lotte del Brasimone e della Direttissima. I Castiglionesi accorsero ovunque c’era da combattere: in Spagna nelle brigate internazionali, in Francia nelle file del 'Maquis', in Grecia e ovunque si lottava per la libertà e la democrazia.
Nel 1940, Girotti rimpatriò per evitare la deportazione nei campi di concentramento dei Pirenei ma a Ventimiglia fu arrestato e i fascisti gli impedirono il ritorno a Castiglione per cui fu costretto a peregrinare in varie città italiane adattandosi, per sopravvivere, a fare ogni sorta di lavoro come d’altronde aveva fatto quando era fuoruscito all’estero.
Dopo la liberazione, continuò il suo modesto impiego e nelle elezioni del 27 maggio 1951 i Castiglionesi lo rivollero come loro sindaco riconfermandolo nel maggio del 1956 e nel novembre del 1960. Si dimise nel novembre del 1961 per motivi di salute dopo dieci anni di dure battaglie, tra cui quella del 'pozzo maledetto' di Ca’ di Landino.
Mariano morì a Castiglione dei Pepoli il 6 giugno 1966. Venne seppellito al Cimitero del Verano a Roma ma i Castiglionesi con determinazione richiesero al Comune di Roma che il corpo di Mariano potesse riposare nella sua terra e riuscirono a riportare la salma fra la sua gente dove ora riposa nel cimitero della Chiesa Vecchia. Significativa è la poesia scritta da Giuseppe Busi: “Mariano, no non puoi riposare in una città non tua, estranea, che fa apparire disamorata la tua fede, di noi uomini rimasti. Qui, fra la tua gente in cui non ebbe posa la tua fatica, si afferma il seme del tuo ideale, nel profondo sforzo di rifare la vita con le tue scarne mani d’uomo semplice di montagna”.

1 commento:

  1. Era mio prozio. Dolcissimo e simpaticissimo. Ricordo i suoi baffoni e il tremore delle mani, dopo le carceri e l'esilio, e chissà che altro. Quando arrivava da noi era una festa, mitigata solo dalla severità della zia Rina, la moglie, sorella di mio nonno. Quante estati ho passato a Castiglio de' Pepoli!. Oggi ho pensato a lui, e ho voluto cercarlo' Grazie a chi ha scritto questo suo ricordo

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