martedì 27 maggio 2014

Panico di Marzabotto. Il vino fatto come una volta è già futuro.



Il benvenuto di Lino e Libera.

‘In vino veritas’, declinavano i latini, a ricordare come sotto l’effetto del vino tutti i freni inibitori si allentano, la mente si distende e quindi l’interrogato recita il vero. Per loro era quindi il vino la ‘macchina della verità’. E se il vino che si era chiamati a bere per arrivare allo scioglimento della lingua  fosse stato quello della vigna  Albertazzi di Panico, ci sarebbe stata certamente la fila di chi si sarebbe sottoposto ad un interrogatorio. E se all’aspirante reo confesso  fosse stato concesso di scegliere il vino con cui disinibirsi avrebbe certamente optato per il ‘Sangiovese’, autentico nettare rosso.  
E sì, la tenuta di Panico è uno scrigno prezioso fatto di sapori e di modi di vivere veri e che sarebbe troppo facile chiamare  ‘piccolo angolo di mondo antico’. È molto di più, è forse il futuro migliore che si va presentando ai moderni consumatori.
L’azienda detiene un mezzo ettaro di vigna, curata con la dedizione di un tempo, la quantità contenuta lo consente: trattamenti indispensabili per una buona maturazione delle uve, lasciate per la quantità e la qualità alla generosità delle stagioni e alla volontà del Buon Dio. Ogni lavorazione delle uve non utilizza motori, la pigiatura viene fatta con una mostatrice manuale, come pure la torchiatura: la grande modernità è solo quella dei tini in vetroresina (ma anche il poeta ha delle licenze). 
La meranda
Il lavoro è affidato ai figli di Lino, Piero e Angela  che, guidati più dall’amore che dalla ricerca del profitto, cui ovviamente comunque guardano, coccolano con l’amore appreso dal padre i bei filari, attenti  a tutte le fasi di crescita del loro prodotto e ricavano circa 200 quintali di vino che poi vendono a una cerchia di amici ristretta,  che ha il privilegio, non solo di bere il sangiovese e il trebbiano della azienda, ma di gustare le merende a base di focacce e dolci preparati dalla Libera, la moglie di Lino. Sì perché poi, se i giorni feriali sono di lavoro, quelli di festa devono essere di festa in compagnia, non di fuga. E la tavola della Libera si copre di ciambelle e torte di frutta, qualche salamino, crescente e pane.  Chi sa dire cosa c’è di meglio per il palato di ciambella (quella vera)  gustata col sangiovese ? E così la domenica è sempre vera festa.
A dimostrazione di come il vino dell’azienda sia privo di ogni trattamento con i vino  invenduto viene avviato alla formazione di aceto, con il metodo tradizionale e anche questo è uno dei prodotti ricercati perché di assoluta qualità.
Chi leggerà rimarrà certamente incuriosito e avrà sicuramente la voglia di essere introdotto  nella cerchia dei fortunati amici dell’azienda . Un consiglio, si faccia accompagnare  fratello della Libera, Ruggero, un altro indimenticato mito della ‘ristorazione bolognese’. La  rimpianta Bettola degli anni sessanta  è una sua creazione.Ruggero abita a Sasso Marconi.


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