Dante Franchi segnala:
“Abbiamo voluto il referendum perché l’acqua fosse considerata un diritto, non per risparmiare qualche euro in bolletta”. Questo il senso dell’ennesima mobilitazione del movimento per l’acqua pubblica, protagonista della campagna referendaria del 2011. A quasi tre anni dalla consultazione cui parteciparono 27 milioni di italiani, i comitati continuano a denunciare il tradimento della volontà popolare. Non solo perché la “remunerazione del capitale investito” non sarebbe stata eliminata dalle bollette – come stabilito dall’esito referendario e dalla Corte Costituzionale – ma anche perché il “diritto all’acqua” sarebbe messo in discussione da più parti. Almeno secondo le valutazioni dei comitati, che si sono confrontati sabato pomeriggio, a Milano, in un convegno intitolato “per il diritto all’acqua, contro la tariffa-truffa dell’Aeeg”.
“Abbiamo voluto il referendum perché l’acqua fosse considerata un diritto, non per risparmiare qualche euro in bolletta”. Questo il senso dell’ennesima mobilitazione del movimento per l’acqua pubblica, protagonista della campagna referendaria del 2011. A quasi tre anni dalla consultazione cui parteciparono 27 milioni di italiani, i comitati continuano a denunciare il tradimento della volontà popolare. Non solo perché la “remunerazione del capitale investito” non sarebbe stata eliminata dalle bollette – come stabilito dall’esito referendario e dalla Corte Costituzionale – ma anche perché il “diritto all’acqua” sarebbe messo in discussione da più parti. Almeno secondo le valutazioni dei comitati, che si sono confrontati sabato pomeriggio, a Milano, in un convegno intitolato “per il diritto all’acqua, contro la tariffa-truffa dell’Aeeg”.
Il 23
gennaio il Tar della Lombardia si pronuncerà sul ricorso promosso a
marzo da Federconsumatori e dai movimenti contro il metodo tariffario
transitorio adottato dall’Aeeg (Autorità per l’energia elettrica, il gas
e il servizio idrico) nel biennio 2012-2013. Secondo il Forum, infatti,
l’Autorità avrebbe reintrodotto in bolletta la remunerazione del capitale sotto
la nuova voce degli “oneri finanziari”. Oneri che corrisponderebbero al 6,4%
del capitale investito netto, e che i cittadini pagano a prescindere dal
gestore. Una scelta, quella dell’Aeeg, dettata dal principio del “full cost
recovery”, secondo il quale tutti i costi sostenuti dal gestore (compresi gli
investimenti in infrastrutture) devono essere ripagati dalle bollette.
Il problema
è proprio questo: se il referendum ha cancellato formalmente la remunerazione
del capitale investito, il principio da cui esso scaturisce – ovvero il full
cost recovery – non è stato scalfito. Ecco perché nel nuovo “metodo tariffario
definitivo”, varato dall’Aeeg il 27 dicembre e del tutto simile a quello
transitorio, è specificato che “i costi finanziari dei servizi idrici
[…] comprendono gli oneri legati alla fornitura e alla gestione dei servizi in
questione”, ovvero “tutti i costi operativi e di manutenzione e i costi di
capitale (quota capitale e quota interessi, nonché l’eventuale rendimento del
capitale netto)”. Come emerso dal convegno, in attesa che il Tar si pronunci i
movimenti porteranno avanti una piattaforma di proposte concrete, atte a
“blindare” il diritto all’acqua.
La prima
proposta consiste proprio nell’inserimento di questo diritto all’interno della
Costituzione, affinché – come sottolineato da Emilio Molinari, relatore
al convegno e autore del libro “Salviamo l’acqua” – “essa torni ad essere viva,
affrontando i problemi della contemporaneità globalizzata”. Sulla questione
degli investimenti necessari al servizio idrico, le cui criticità sono
drammaticamente cresciute negli ultimi anni, i movimenti propongono di tornare
alla finanza pubblica. “In questi ultimi anni, nonostante la
remunerazione del capitale investito e la parziale privatizzazione del
servizio idrico, abbiamo assistito a un deterioramento della rete e delle
infrastrutture”, denuncia Simona Savini del comitato romano. “Se nel
2005 le perdite d’acqua corrispondevano al 30,1%, nel 2011 sono salite al 41%.
Segno che l’affidamento ai privati non migliora il servizio né accresce gli
investimenti”.
I movimenti,
quindi, vorrebbero che il servizio tornasse pienamente pubblico e interamente
sostenuto dalla fiscalità generale, da tariffe pubbliche e da una finanza
controllata dallo Stato. “Solo in questo Paese la finanza pubblica è stata
completamente azzerata”, spiega Marco Bersani della rete Attac. “E dire
che i soldi ci sarebbero. Basti pensare alla Cassa depositi e prestiti,
che ha una dotazione di 240 miliardi di euro solo di risparmio postale.
Purtroppo – conclude – dal 2003 la Cassa è diventata una Spa, e la sua attività
di finanziamento agevolato agli enti locali è stata interrotta”.
Infine
Corrado Oddi del Forum evidenzia una ulteriore incongruenza: “L’Aeeg
sostiene che nel 2013 c’è stato un aumento medio del 2,7% nelle tariffe.
Peccato che ne abbia considerate una minima parte. In realtà, come rilevato
dall’Anea (Associazione nazionale enti d’ambito, ndr), l’aumento è stato
del 13,7 per cento. Segno che le tariffe tendono a crescere sempre di più”. I
movimenti chiedono che le competenze dell’Autority sull’acqua vengano
trasferite al ministero dell’Ambiente: “Solo in Italia esiste un’Autorità di
controllo finanziata dagli stessi gestori che la dovrebbe controllare”,
sottolinea Molinari. “Eppure, si dichiarano indipendenti. Anche questa, come
tutte le altre, è una leggenda metropolitana”.
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