Ospite del Panathlon Valle del Reno col tecnico Marco
Masetti
“Il podio? Un’emozione, ma ero solo in mezzo a 5000 persone
Bella esperienza, ma al Villaggio
“Il podio? Un’emozione, ma ero solo in mezzo a 5000 persone
Bella esperienza, ma al Villaggio
La sua è stata la prima
medaglia italiana alle Olimpiadi di Londra. Argento nel tiro a segno,
specialità pistola ad aria compressa 10 metri. Argento pesante, perché su quel
podio Luca Tesconi erano in pochi a
vederlo. Quelli che sapevano della sua condizione: lui stesso, il Ct della
specialità, Marco Masetti. Pochi altri. Lui arrivava a Londra col
ventisettesimo posto nel ranking mondiale stagionale. E’ tornato a casa pieno
di gloria, dopo aver sfiorato la vittoria. Di più: ci fossero state le regole
di oggi, con la finale che azzera tutti i punteggi delle eliminatorie, avrebbe
vinto lui, capace di risalire nei colpi decisivi dal quinto al secondo posto.
Gli è sfuggito solo il coreano Jin Jong-Oh, campione olimpico. Poco male.
Comunque festa.
Quelle emozioni Luca è venuto
a raccontarle a Sasso Marconi, ospite
all’Osteria dei Sani del Panathlon Valle
del Reno insieme a coach Masetti. Lo ha fatto con allegra spensieratezza,
con la lingua sciolta e la semplicità che te lo rendono immediatamente affine.
Come un amico che non vedevi da tempo e ti affascina mentre racconta quanto è
arrivato lontano.
“La cosa più divertente è legata proprio a quella
rimonta. Tra le qualificazioni e la finale c’erano due ore, e le ho passate in
sala massaggi. Vicino a me c’era il cinese Pang Wei, che in quel momento era
secondo. Giorgio Cardoni, il nostro fisioterapista, ha iniziato a caricarmi:
ora rubo le energie al cinese e le trasmetto a te, diceva. Beh, c’è riuscito:
alla fine io sono arrivato secondo e il cinese quinto. Peccato non ci fosse il
coreano, lì accanto…”
Da sin. Luca
Tesconi, il vicepresidente del
Panathlon Valle del Reno, Franco Faggioli
e il
tecnico azzurro Marco Masetti
|
A trent’anni, Luca ha vissuto
Londra da debuttante. Godendosi tutto, anche la cerimonia d’apertura “che tutti mi sconsigliavano, perché la gara
era il giorno dopo, ma io ho fatto di testa mia e non mi pento: quattro ore a
camminare nello stadio e quando sono andato a dormire mi sono fatto otto ore
filate di sonno, un lusso per uno come me che nella settimana prima della gara
diventa praticamente insonne… Sì, è stata una bella esperienza, ma devo un po’
sfatare la leggenda del villaggio olimpico in cui tutti ti sono amici. Io
all’inizio incrociavo azzurri di altre discipline e salutavo subito. Molti,
meglio non far nomi, nemmeno mi guardavano. Per me è questione di educazione:
siamo lì, abbiamo la stessa tuta addosso, ci incrociamo in mensa, nei corridoi,
alle macchine del caffè. Ma nessun problema: dopo un po’, certe persone ho
smesso di salutarle anch’io…”
Tesconi ha iniziato tardi a
tirare. Portato al poligono di Pietrasanta da papà, che aveva la stessa
passione, verso i diciotto anni.
“Si può dire che il primo ad accorgersi che c’era
stoffa sia stato lui. In tre anni ero nel giro azzurro. Ma avevo comunque un
vantaggio: di sport ne ho sempre fatto. Tennis, però: ho iniziato a sei anni e
ho giocato a buon livello. Mi ha aiutato, soprattutto da bambino. Ti dà delle
regole, impari a conoscere i tuoi limiti e a stare nel clima della gara anche
per ore, se serve”.
Già, la gara. Non è facile
arrivare alle Olimpiadi da debuttante e da outsider e salire sul podio. Luca
c’è riuscito, ma non ha una ricetta da consigliare. Ha trovato la magìa, ecco
tutto.
“Quando mi allenavo a Pietrasanta mi immaginavo già
lì, a Londra. E quando ci sono arrivato davvero, tutto mi è parso più naturale.
E’ un’onda, in fondo, e devi ragionare da surfista: se la prendi quando è bella
alta, puoi cavalcarla. Per il resto, non saprei spiegare bene la gara e tutto
quello che è successo dopo. Quando un impegno è importante io mi sveglio alla
mattina, mi lavo i denti e mi ritrovo in pedana: tutto quello che è successo in
mezzo non me lo ricordo proprio. Il podio, per esempio: mica è facile da
spiegare quello che si prova. C’era un palazzetto stipato, 5000 persone non le
vedi spesso alle nostre gare, ma io ero davvero solo con me stesso. Certo,
mentre ci facevano aspettare per la premiazione avrei voluto esplodere… ma una
ragazza dell’organizzazione mi aveva puntato, probabilmente pensava
all’italiano che fa subito casino, non so. Ho fatto fatica a trattenermi”.
Ricordi. Belli da
riavvolgere, come la festa al ritorno a casa (“con la gente che mi fermava per strada per raccontarmi quello che
aveva provato vedendomi su quel podio”), da rivivere. Ma non è stato un
percorso in discesa, quello di Luca. Non sempre, almeno.
“Tre anni fa ho rischiato di essere mandato fuori dal
giro azzurro. Mi consideravano uno che lavora poco, perché certi lavori io li
finisco prima, e quando sono finiti faccio altro. Il che non vuol dire che non
mi concentri sulla preparazione, ma per molti era così. Magari c’è chi la pensa
così anche adesso, ma un argento olimpico mette tutti a tacere”.
Il futuro è adesso: Europei
di Odense, in Danimarca, che iniziano il 25 febbraio. “Tesco” è sintonizzato,
certo, l’obiettivo ora è quello. A chi gli chiede di Rio regala un sorriso.
Troppo presto per pensarci. Piuttosto, se proprio vogliamo parlare di traguardi
raggiunti ecco spuntare l’altro Luca. Quello innamorato di fotografia.
“Il 9 marzo c’è la “vernice” della mia prima mostra a
palazzo Panichi, a Pietrasanta. Si intitola “Non luogo”, è un viaggio dentro
gli ospedali psichiatrici. Se ne è interessato un noto gallerista, sarà una bella
vetrina. Per me è un altro grande sogno che si realizza”.
Servizio fotografico di Fabrizio Carollo
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