Si
inaugura a Monzuno, domani (sabato7 luglio) alle 17, la mostra: "Il paesaggio nel tempo: Il
territorio nell'arte di Mario Nanni, Nino Bertocchi e Ilario Rossi".
La mostra
sarà aperta dal 7 luglio al 5 agosto. Gli orari: martedì e giovedì dalle 9 alle
12 e dalle 15 alle 18; il sabato e la domenica dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle
19.
Il professor
Gian Luigi Zucchini che ha curato la
presentazione nel catagolo ha scritto:
Il tempo modifica le cose, i comportamenti,
i pensieri. Anche il paesaggio muta, a volte profondamente. Ma alcuni elementi
strutturali restano, e dovrebbero apparire, se perlustrati con attenzione,
sempre gli stessi. Non mutano i cieli, gli alberi nella loro forma, i monti, il
mare, le lontananze, l’infinito. Eppure gli artisti hanno colto e rappresentato
questi aspetti in modi assai diversi. Giotto, ad esempio, vede i monti come
scheletrici calanchi, in opaca solitudine, con pochi alberi ossuti, neri. Nel Rinascimento
esplode la luce serena di un azzurro esultante: ma diverso ancora, da luogo a
luogo, da cultura a cultura. L’azzurro dei Bellini a Venezia, è diverso da
quello dolcissimo di Firenze, i caldi crepuscoli di Tiziano diversissimi dagli
stessi crepuscoli romani dipinti da Annibale Carracci. E i paesaggi del
Seicento, pieni di riscontri agresti e fluviali, ancora diversamente
interpretati e riletti secondo l’ideale classico della bellezza: una bellezza
costruita nella serenità razionale della mente, che idealizza le cose e il
mondo nell’ordinata suggestione della classicità. Poi, dopo le descrizioni
sempre più dettagliate del paesaggio, lo stesso visto dagli impressionisti:
impressioni appunto, vampate di luce e di colore, fremiti, vento che smuove l’aria,
squilibria le ombre, le invade di movimento, ed evoca i suoni. In seguito,
dissoluzione delle forme, già iniziata con Turner, luci soltanto, colori;
l’ossessione del movimento nei futuristi, gli ultimi naturalisti e l’informale,
le avanguardie dove il paesaggio scompare per lasciare posto all'invenzione, al
creatività talvolta aggressiva, o impertinente o addirittura distruttiva.
Paesaggio del dramma, atterrito da oscure previsioni, annullate nell’oscurità
di un futuro senza speranza. O un ritorno della natura freddo e quasi
atterrito, raggelato nella perfezione talvolta addirittura metafisica
dell’iperrealismo. Oppure l’occulta interpretazione del paesaggio immerso nel
silenzio del tempo che scorre senza traccia e senza rumori, eppure lascia
segni, ricordi, larve di emozioni, fantasie della mente: osserviamo i paesaggi
di Morandi, e troviamo l’astoricità dell’infinito, il senso misterioso delle
stagioni che passano.
Dunque, il paesaggio nel tempo
non è il paesaggio in sé, ma quello che l’artista vede, quello che pensa, che
cerca di esprimere con la tensione della fantasia: il massimo dell’estensione
spaziale: la metafisica, o della rappresentazione impossibile. Oppure il minimo
infinitesimale, la micronatura (tele di ragno raccolte e composte nel quadro,
ghiaccio ai vetri riportato sulla tela , frammenti di foglie sminuzzate e
composte quasi a mosaico, ecc.). In mezzo a questi estremi, la ricerca
costante, il paesaggio che si presenta apparentemente sempre uguale nella sua
struttura di base, ma che incessantemente muta nella mente dell’uomo che lo
indaga, lo esplora, lo interpreta e cerca di esprimerlo secondo modalità di
visione e di emozione sempre diverse, dettate dalle situazioni esistenziali, ma
anche economiche, storiche, sociali, infine affettive e spirituali: un insieme
di atteggiamenti intellettuali e inventivi che Maritain chiamava “intuizione
creativa”.
Così sarebbe bello che il
nostro paesaggio appenninico fosse visto, riletto e rappresentato nel
tempo secondo il tempo, e le espressioni
che ciascuno, nel tempo appunto, sente e vive, con l’originalità che non vuol
dire sciatteria o pressapochismo, ma interpretazione che unisca sia la spinta e
l’urgenza della comunicazione espressiva, sia la bellezza dell’invenzione e
l’autenticità del linguaggio. Una forma d’arte che avanza seguendo il tempo, e
cogliendo le trasformazioni che il tempo stesso provoca nella visione
dell’uomo, come un motore che promuove ogni cosa stando immobile e immutabile.
La ‘divina indifferenza’ di Montale, o il ‘motore immobile’ di S. Tommaso?
Comunque, una costante rilettura di ciò che la natura ci propone attraverso la
sua struttura e la sua essenza, sempre diversa e sempre la stessa,
nell’inquieta e spesso dissonante armonia delle cose.
complimenti al Comune di Monzuno!!!!
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